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PREMURA
Angelo A. Izzo
Editing di Tommaso De Martino
Prima sessione.
Lou e Reed si stuzzicavano sul letto a castello. Lei s’affacciava giù e come una gatta cercava di graffiare il fratello, rannicchiato schiena al muro e intento a scalciarle via le mani.
«Se ti prendo!» era solita dire, e Reed veniva investito da uno strano brivido di piacere misto a paura.
Lottava per un po’, poi quel gioco finiva sempre con lei che lo raggiungeva al posto di sotto, lo faceva sdraiare di pancia e gli si metteva sopra dandogli qualche leggero colpo di bacino.
«Fatti prendere» diceva la ragazza, ignorando le vibrazioni che quello spingere le dava. Scopriva la schiena e lo graffiava finché quel ruspare nella carne non si trasformava in lenti massaggi e baci sulle parti arrossate; erano entrambi molto delicati e bastava un niente a rovinare la pelle vampiresca con rossori o lividi.
Il silenzio venne interrotto dalle note di “Sunday Morning” dei The Velvet Underground. Alzarono la testa e annusarono l’aria; odorava in maniera diversa quando c’era la musica.
Dal piano superiore si sentì digitare sul tastierino numerico e lo strusciare di una pesante porta di metallo.
«È il Padre» disse Lou, e si fiondò giù dal letto. Percorse la sala che fungeva da soggiorno, cucina e stanza da letto, e si fermò nel mezzo, salendo sopra al tappeto circolare rosso.
«Sunday morning
And I’m falling
I’ve got a feeling
I don’t want to know…»
Reed sbuffò e nascose la faccia in mezzo al cuscino.
«Vieni, corri!» lo rimbeccò la sorella, ma lui non si decise a scendere. «Ti muovi o no?» Lou, esasperata, tornò indietro e lo scuoté. «Dai, dai» gli diceva.
Il fratello la tirò sopra di lui, tenendola stretta. Le diede innocenti baci sul collo ma lei gli sgusciò da sotto alle braccia. Entrambi risero.
La porta metallica si richiuse, di nuovo il digitare sul tastierino. Passi trascinati scesero le scale.
«Su, salutiamo il Padre» disse lei, accompagnandolo per mano.
Li raggiunse un signore sui sessantacinque anni, media statura, smagrito e con le guance scavate. La calvizie aveva lasciato uno spazio vuoto nella parte frontale dello scalpo mentre ai lati la testa era avvolta da un manto erboso di bianchi e sottili capelli. La barba era di qualche giorno, le orecchie si presentavano allungate e nelle orbite socchiuse aveva come dei chicchi di caffè. Portava con sé una torta pan di stelle confezionata e delle candeline. Poggiò tutto sopra a un tavolo, andò verso i due ragazzi e li baciò sulle tempie.
«Buon compleanno.»
«Grazie» dissero entrambi.
«Oggi compiete quindici anni, gli anni di vostra madre quando l’ho conosciuta.»
«Ci parli sempre così poco di lei» disse Lou.
«Perché per me è doloroso» si tolse gli occhiali da vista e li pulì sul maglioncino giallo a collo alto. Li indossò di nuovo. «Che ne dite di una fetta di torta?» domandò loro, e si sedettero al tavolo.
Sunday morning ripartì daccapo.
Il Padre tolse la torta dalla confezione e ci mise sopra due candeline. Una rosa e una azzurra.
«Esprimete un desiderio» disse. I ragazzi ci pensarono su e soffiarono.
Prima di mangiarla pregarono tenendosi per mano.
«…e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Amen» disse, e prima di fare il segno della croce afferrò le mani dei ragazzi e le baciò sul dorso. Si commosse.
«Quelli di sopra mi hanno abbandonato. Siete la mia unica famiglia adesso.»
Reed inarcò le sopracciglia mentre tagliava un pezzo di torta. Lou invece sorrise.
«Quindi nelle prossime settimane penso di trasferirmi qui. Passeremo molto più tempo insieme.»
«Ti hanno abbandonato perché non li hai protetti come hai fatto con noi?»
Il Padre si guardò intorno con fierezza; osservò il parquet blu, l’arredamento anni cinquanta, le mura rosa, i quadri e la carta da parati gialla. In fondo alla sala, due stanze: il bagno e una sala per lo svago con tapis roulant e tappetino per allenarsi, libri e un televisore a cui era collegato un vecchio lettore dvd. Sparpagliati qua e là c’erano alcuni giocattoli della loro infanzia.
«Questo posto non era così quando ci viveva vostra madre. Era meno curato: umidità, topi, vecchie botti di vino, il palo delle cattive azioni e un materasso gettato a terra con un secchio vicino» accarezzò loro il volto. «Siate fieri di vostra madre, era una donna speciale. Nessuno prima di lei mi aveva spinto ad avere tutta questa premura.»
Fece alzare i figli e insieme andarono verso il letto a castello.
Sunday morning ripartì.
Aiutò Lou a spogliarsi, le tastò i seni.
«Come cresce sana la mia Lou…» le succhiò i capezzoli e infilò il dito medio nella vagina. «È di nuovo così secca? Lo sai che mi fa male quando è così…»
«Scusami» disse mugolando, e lui tirò fuori il dito e se lo mise in bocca insieme all’indice. La penetrò con entrambi.
Reed si sedette, guardava il corpo nudo della sorella. Era come Carmilla, la protagonista di un romanzo che aveva trovato nella sala dello svago. Fu tentato dalla voglia di toccarle i glutei, che ella stringeva.
«Lou…» il Padre sfilò le dita e si abbassò. Si piazzò sotto alle sue gambe, le allargò la vagina coi pollici. «Lou, sei così secca…» alzò la testa e le leccò il perineo, salì fino alla vulva. «Vieni giù Lou, vieni giù…» si stese a terra invitandola a sedersi sulla sua faccia.
Reed distolse gli occhi, bruciati da una vampata di gelosia.
«Reed, spogliati Reed… e toglimi i pantaloni» disse il Padre da là sotto.
Il ragazzo si alzò, tolse il pigiama e andò verso di lui. Gli sfilò le scarpe, i pantaloni marroni di velluto e i boxer verde acqua. Avvicinò le labbra al membro flaccido incontrando gli occhi imbarazzati di Lou, che ondeggiava seduta sopra la faccia del vecchio. Spostò con la mano la folta peluria grigiastra e lo prese in bocca.
«Con premura…»
Massaggiò i testicoli e tirò giù la pelle scoprendo il glande. Lo leccò piano, tutt’intorno, facendo sentire anche le labbra. Quando divenne abbastanza grosso lo prese in bocca per intero. Il Padre gemeva sotto alla figlia.
Sunday morning, ancora.
Lou iniziò a piangere, curandosi di non farlo notare. Il fratello seppe cogliere quel disagio e come un indemoniato iniziò a succhiare il cazzo, tastando anche le palle con le labbra. Il vecchio pizzicò la figlia sul sedere, facendola alzare. Lei si sedette sul letto.
L’uomo roteò la testa e fece scrocchiare il collo.
«Basta Reed…» disse. Lui ubbidì.
Il Padre tolse il maglione e la canottiera, si alzò e ordinò alla figlia di spogliare Reed. Lo fece mettere ai piedi del letto e si posizionò dietro di lui. Sputò sul palmo della mano e inumidì il ragazzo dove gli occorreva. Sputò ancora e cosparse il pene eretto di saliva.
«Vai un po’ giù con la schiena, alza il culo, sposta un po’ la gamba sinistra, sì… così» lo guidò finché non riuscì a penetrarlo. Chiuse gli occhi e prese a spingere.
Lou sbirciava imbarazzata il pene duro di Reed.
Il Padre glielo raggiunse con le mani e lo masturbò.
«Diventi uomo Reed, sempre più uomo…»
La mano fredda e rugosa del vecchio fece diminuire l’erezione di Reed.
«Vuoi che vada più forte, Reed?»
Il Padre aumentò il ritmo dei colpi. Una mano continuò a masturbarlo mentre l’altra ne tastava il ventre. Poggiò la fronte sulle sue spalle e ansimò forte.
«Ti piace così, Reed? Ti piace?»
I piedi egizi di Lou si aggrovigliavano uno sopra l’altro. La pelle candida lasciava intravedere le vene sul dorso, lo sfregare li aveva già leggermente arrossati. Reed alzò lo sguardo. Le lacrime sul volto di Lou si erano asciugate. Aveva uno sguardo serioso e il cuore le batteva forte in petto. Gli occhi risplendevano di nuova luce fissi sul cazzo di Reed.
«Lo sento crescere fra le mie mani Reed… vuoi che vada ancora più forte?»
Lo sperma colò sulle nocche del Padre. Si pulì sulla coscia del ragazzo e continuò a scoparlo.
«Mmh, dio mio…»
Il Padre, ruotandolo, fece uscire il cazzo, allontanò il figlio e corse verso Lou. La tirò a sé, glielo mise in bocca e lì venne, trattenendola per il capo mentre lei, fra mille gargarismi, cercava di staccarsi. Gli infilzò le unghie nella pancia spingendolo via, ma non si mosse. Reed balzò in avanti, afferrò l’uomo da dietro alle spalle e lo tirò via a forza. Il pene uscì fuori dalla bocca in maniera fulminea e un incisivo scheggiato provocò un graffio di sghembo lungo l’asta.
Il vecchio urlò per la paura e, cazzo fra le mani, corse sotto alla luce per osservare meglio la ferita.
Lou vomitò lo sperma con quel poco di sangue che s’era ritrovata in bocca. Reed le si sedette di fianco e l’accarezzò mentre lei si puliva la bocca col lenzuolo.
Il Padre, una volta accertatosi che non fosse nulla di grave, si fiondò su di loro gonfio di rabbia. Reed scattò su per difendere la sorella.
Il vecchio lo colpì con un pugno alla tempia. Gliene assestò un altro in fronte e quello cadde in ginocchio. Lo spinse a terra, gli si piazzò sopra e lo pestò finché non intervenne Lou.
«Scusami Padre, è stata colpa mia…» disse, abbracciandolo.
Si piegò e diede diversi baci al suo pene, tornato flaccido.
Si alzò e la colpì in pieno volto. Si rivestì e se ne andò, farneticando di come nessuno avesse rispetto di lui e sapesse apprezzare ciò che faceva per gli altri.
Rimasti soli, Lou si precipitò su Reed, scuotendolo e chiedendo come stesse. Le rispose scoppiando a ridere.
La musica si fermò.
«È solo un vecchio Lou, cosa vuoi che mi faccia, è solo un vecchio» disse il ragazzo, e col dito toccò il sangue che gli colava dal sopracciglio sinistro. Lo assaggiò e rise più forte.
Lou si prese cura delle ferite. Lo fece stendere a letto e gli applicò una busta di ghiaccio istantaneo sulla testa. Si accoccolò di fianco a lui, sfiorandogli con le dita petto e ventre.
«Ho paura che il Padre non verrà per un po’, dopo quello che è successo» disse Lou.
«Meglio per lui.»
«Reed, devi essergli più riconoscente. Si espone a un rischio enorme affrontando il mondo esterno per portarci ciò che ci serve. Abbiamo tutto qui. Dovremmo essere più riconoscenti.»
Il ragazzo la guardò con la coda degli occhi.
«Non siamo più dei bambini. Possiamo affrontare anche noi l’esterno, solo che lui non ce lo permette.»
«Non rifare questo discorso con lui; ci ha puniti togliendoci la corrente per giorni l’ultima volta. E tu ti sei ammalato» lo strinse a sé. «Non voglio perderti.»
«Non vado da nessuna parte, Lou. Sarò con te, sempre» Reed la scostò dolcemente.
«Sono più forte adesso, posso batterlo. È un vecchio, non ho sentito poi così male. La prossima volta lo batterò e ti dimostrerò che abbiamo la sua stessa forza, anzi, noi siamo più forti.»
«No Reed, siamo come la mamma. Lei era troppo fragile per vivere nel mondo esterno e lui l’ha salvata portandola qui, al sicuro.»
«Lou, noi questo non possiamo saperlo. Non l’abbiamo mai conosciuta. E se è per questo, non abbiamo mai visto neanche quello che c’è fuori. E non chiamarmi in quel modo» Reed si fece pensieroso, passò il piede sopra alla gamba lisciandone la peluria. «Io non voglio più farmi toccare da lui.»
«Ma che dici…» la sorella poggiò la testa sul suo petto. «È quello che un Padre fa con i propri figli quando li ama.»
«Non m’importa, a me non piace.»
«Ma sarebbe come non accettare il suo amore.»
«Neanche a te piace.»
La sorella ritrasse la testa.
«E tu che ne sai?»
«Lo so, lo sento. Sento sempre tutto, anche quando piangi.»
Lou si staccò da lui e gli diede le spalle.
«È perché sono sbagliata. Non riesco a ricambiare quell’amore come dovrei» sentenziò.
Le accarezzò la schiena.
«E invece sei perfetta.»
Le luci si spensero. Provarono a riaccenderle ma nessun interruttore premuto sortì effetti.
«Menomale che siamo in primavera» disse Reed, premendo il ghiaccio sulla fronte.

Sessione al buio.
Nei tre giorni seguenti rimasero al buio insieme nello stesso letto, come quando erano bambini, prima che il vecchio glielo proibisse.
Reed aprì gli occhi. Un formicolio al braccio destro lo infastidiva. Alzò piano la testa di Lou e lo fece scivolare via. Teso verso l’alto, apriva e chiudeva il pugno. La sorella si lamentò un poco e poggiò la gamba sopra di lui, strofinando la testa sul cuscino.
«È mica tornata la luce?» domandò flebile, tenendo gli occhi chiusi.
«No» rispose, e intrecciò le mani dietro al collo. «Ho sognato nostra madre. Mi ha detto come si chiamava.»
«Era solo madre, qualcosa di simile a Padre» disse trasognata lei.
«No. Si chiamava Margherita. Me lo ha detto in sogno.»
«Sono solo sogni. A farceli venire sono i libri e i film che guardiamo. Per questo il Padre dice di andarci cauti con quella roba.»
«Era bellissima.»
«Solo un sogno…» la sorella si accostò a lui, mosse la gamba e gli sfiorò col ginocchio i genitali.
«Ha detto che il mondo esterno è caotico e pericoloso.»
«Ancora… dormi Reed, dormi…»
«Ed è proprio per questo che vale la pena di viverlo.»
Reed immaginò gli occhi verdi della madre, i suoi lunghi capelli castani, le punte accese che ne coprivano i seni… i capezzoli si intravedevano turgidi, gocciolanti di latte…
Il cazzo iniziò a pulsare. La visione materna mutò in quella di Lou. Ella spostava le ciocche mostrandosi a lui. Solleticava il capezzolo, scendeva giù e ricalcava la forma dell’areola.
Gli si rizzò; spingeva contro il ginocchio di lei, che rispose muovendosi come per accarezzarlo.
La ragazza, con lenti movimenti gli salì sopra e iniziò a leccarlo sotto all’orecchio. Lui le tirò giù i pantaloni ed entrando nelle mutande le afferrò i glutei.
Al centro della sala, dove stava il tappetino rosso, si aprì una voragine da cui spuntarono corna caprine.
Gli tolse la maglia e baciò il petto avidamente, fino a sbavare. Reed simulò di penetrarla.
La voragine si allargò e proruppe da lì una strana figura: un essere tozzo con un lungo mantello nero che la avvolgeva interamente. La testa era quadrata e le mascelle ampie, portava un copricapo rinascimentale scuro forato dalle spesse appendici ossee. Le sopracciglia erano disegnate in obliquo verso l’interno, il naso schiacciato e largo. Il pizzetto scuro spiccava sopra un volto opaco.
Mefisto rise mutamente.
Fratello e sorella si erano spogliati a vicenda. Il cazzo duro di Reed era rivolto sulla pancia. Lou ci passava sopra la vagina, umettandolo di secrezioni. Lo afferrò con la mano, mise un piede in avanti e s’alzò quanto bastava per farlo entrare. Scese e gemette.
Si muovevano in sincro, l’uno scopava l’altro. S’accompagnavano alla perfezione, salendo e scendendo.
Reed la tenne su per i glutei e aumentò di velocità.
«Piano…» disse lei, e i colpi diminuirono di frequenza, diventando più intensi.
Mefisto si avvicinò a loro senza abbandonare il sordido ghigno. Scostò il mantello rivelando, dalla vita in giù, gambe pelose e animalesche che terminavano in lunghi zoccoli. Una coda sottile frustava l’aria dietro a due grossi testicoli. Il rosso fallo crebbe fino a superare i quaranta centimetri.
Sovrastava i due amanti, che nel frattempo avevano ribaltato le loro posizioni. Mefisto si masturbava, sempre più euforico.
Reed ebbe un tremito. Uscì da Lou e le venne sulla pancia. Si allontanarono l’uno dall’altra, gettando i loro sguardi nel buio. Cercavano di riportare a un ritmo normale il loro battito del cuore, respiravano piano.
Triste che tutto fosse già finito, Mefisto sussurrò loro: «Non abbiate paura. Godete, godete, godete! Avete la benedizione di chi v’è Padre per davvero.»
I due si sentirono attratti dall’enorme cazzo demoniaco. Lo sfiorarono un poco, seguendone col dito le vene gonfie. Accarezzarono il glande appuntito, lo leccarono da parte a parte. Le loro bocche si incontravano nel percorso.
«Sono vostro Padre, ma anche vostra Madre…»
Dal glande di Mefisto fuoriuscì un liquido mieloso. Si aprì in quattro parti, meravigliando i ragazzi. All’interno videro una vulva rosea dalle labbra grasse e pronunciate. I ragazzi ci infilarono dentro un dito a testa, ritraendolo subito dopo.
«Attenti, scotto!» disse Mefisto sorridendo.
Reed tirò fuori la lingua, si avvicinò e succhiò le labbra mentre Lou, decisa, infilo dentro due dita.
Risentirono il calore di prima ma scoprirono che se si resisteva, poi risultava piacevole e confortante. Succhiavano, leccavano e penetravano infoiati.
Forti tremori travolsero Mefisto.
«Allontanatevi» disse, e i due si rifugiarono spalle al muro.
Ali draconiche squarciarono il mantello. Gli occhi di Mefisto divennero gialli, la peluria lo ricoprì tutto e il muso divenne quello d’un caprone.
L’assordante belare stonò gli amanti, che si tapparono le orecchie e chiusero gli occhi, urlando.
Vennero investiti da uno zampillo di sangue.
La voragine si allargò fino a far sprofondare il seminterrato, che a sua volta si portò giù la tenuta di famiglia del padre.
Lou e Reed poterono osservare la poeticità del cielo stellato, prima che crollasse anche quello.
Seconda sessione.
Restarono senza corrente per giorni. Dovettero buttare tutto il cibo fresco o congelato, rimase solo quello in scatola. Carne, fagioli, frutta sciroppata.
Passavano la maggior parte del tempo a letto.
L’assenza di elettricità aveva arrestato il sistema di videosorveglianza e questo diede loro l’opportunità di dormire insieme.
Scoprirono i loro corpi come mai avevano fatto prima, abbracciando la passione, la fame sessuale, la curiosità dell’eros.
Si dimenticarono della sala, del mondo esterno, del padre stesso. Durante quei giorni di buio, vissero solo per scoparsi.
E quando la luce tornò, l’accolsero come un lutto.
Lou, prona, i glutei alzati, mordeva il cuscino mentre Reed le leccava la fica. Le era appena venuto sulla schiena. Lo sperma colava facendola rabbrividire.
Quando risuonarono le note di “Pale Blue Eyes”…
Corsero a lavarsi i genitali. Reed si lavò bene anche la faccia trasudante di umori e aiutò la sorella a pulire la schiena.
«Thought of you as my mountain top
thought of you as my peak
Thought of you a severything
I’ve had but couldn’tkeep
I’ve had but couldn’tkeep…»
Si rivestirono e attesero il padre, ognuno nel proprio letto.
Le telecamere si riattivarono.
Ticchettio metallico, la pesante porta venne spinta.
«If I could make the world as pure
and strange as what I see
I’d put you in a mirror
I put in front of me…»
L’uomo scese le scale a fatica, tanto erano pesanti le buste della spesa che portava con sé.
I figli, in silenzio, andarono ad aiutarlo.
«Grazie ragazzi» disse loro.
Portarono giù la spesa e poggiarono le buste sul tavolo. C’era verdura, frutta, pasta fresca, dolci, vaschette di gelato, carne bianca e rossa.
«I rifiuti?» domandò lui.
«Abbiamo ammassato tutto dove sta il palo delle cattive azioni» rispose Reed.
Il padre si tappò il naso, fece qualche passo e svoltò in fondo a sinistra. Aprì una porta camuffata dalla carta da parati. Recuperò l’immondizia.
«Mettete a posto le provviste. Torno fra un attimo.»
Eseguirono gli ordini.
Pale Blue Eyes ripartì.
«P… padre» disse Lou, aprendo e chiudendo gli occhi.
«Che c’è?» domandò da sopra le scale.
«Puoi, per favore, fermare la musica?»
«Ma vi è sempre piaciuta.»
«Stare al buio ci ha reso più sensibili ai rumori. Domani l’ascolteremo con piacere, ma oggi le nostre orecchie sono stanche» intervenne Reed.
«Va bene» disse il padre uscendo. Richiuse la porta, digitò il codice e andò via.
Silenzio.
Sistemata la spesa, si sedettero e aspettarono che tornasse.
Non si fece attendere.
Aveva lo sguardo basso, torbido. I figli lo guardavano fisso, immobili.
Il padre si grattò il polso, poi il collo.
«Mi ha addolorato dovervi punire. È una cosa orribile per me che vi amo. Ma io ho premura di voi e se mi ricambiate col disprezzo devo farvi capire che ciò è sbagliato.»
«Scusaci padre» disse Lou.
«Scusaci» ripeté Reed.
Si sedette vicino al figlio. Slacciò le scarpe, le sfilò. Tolse il maglione e la canottiera.
«Scendi Lou» comandò alla figlia.
Tirò giù anche il largo paio di jeans e i boxer verde corallo.
«Segami Reed» ordinò. Si voltò verso di lui. «Reed?»
Il ragazzo si sforzò di essere neutrale e calmo, ma dentro sentiva crescere la rabbia.
«Oggi sei indisposto?» gli domandò ironico.
«Non voglio toccarti né essere toccato» tuonò il ragazzo. «Mai più.»
Gli occhi dell’uomo si persero nel nulla. Sospirò.
«Mi date un dolore immenso» sentenziò, e nudo se ne tornò di sopra. «È l’età. Anche vostra madre era così. Devo usare i metodi che usavo con lei» disse prima di richiuderli dentro.
«Perché lo hai fatto?» domandò Lou, agitata.
«Voglio fare solo quello che VOGLIO FARE» raggiunse la sorella con uno scatto, le prese il polso. «È solo da te che voglio essere toccato e solo te voglio toccare.»
La sorella scostò la mano, incrociò le braccia.
«Le telecamere sono attive» sussurrò, distogliendo lo sguardo.
«Non m’importa.»
Musica, di nuovo. Ancora i The Velvet Underground con “Venus in Furs”.
«Io… io… IO NON LO SOPPORTO PIÙ» disse Reed allargando le braccia. Urlava e si scagliò su tutto ciò che lo circondava. Spaccò a terra le sedie, lanciò via il tappeto, strappò la carta da parati.
«ODIO TUTTO QUESTO.»
A Lou scappò da ridere; un verso stridulo e acuto la destabilizzò. Si portò la mano alla bocca, serrandola. Ma non riusciva a trattenersi.
«BASTA CAZZO, BASTA.»
Reed staccò dalle pareti le stampe di Dalí e Picasso. Le calpestò a terra. Addio a “Corrida”, “Metamorfosi di Narciso”, “Invenzione dei mostri”, “Testa di toro”…
La sorella si piegò, piangendo per il troppo ridere. Premette con forza il palmo della mano contro la bocca. La faccia le si fece tutta rossa.
«I am tired, I am weary
I could sleep for a thousand years
A thousand dreams that would awake me
different colors made of tears…»
Dita ossute digitarono il codice sul tastierino. La porta scattò.
Le risate di Lou mutarono in un singhiozzio isterico. Reed corse da lei, non sapendo bene cosa fare.
Il padre si fermò a metà scale e da lì osservò con dispiacere lo scempio.
Caricò la semiautomatica e puntò alla schiena del figlio. Spostò la mira di qualche centimetro e sparò.
Il proiettile passò alla destra del ragazzo, che strinse forte a sé la sorella. Impietrita dalla paura e con la testa tra le mani. Reed si voltò tremando e vide il padre, nudo come l’aveva lasciato, scendere le scale puntandogli contro la pistola.
«Severin, Severin, speak so slightly
Severin, down on your bended knee
Taste the whip, in love not given lightly
taste the whip, now bleed for me…»
Si fermò al centro della sala.
«Allontanati» disse a Reed, che non si mosse.
Sparò un altro colpo a terra, vicino ai piedi del ragazzo. Lou lanciò un urlo.
«Allontanati» ripeté, e questa volta venne assecondato.
«Lou, tesoro. Alzati e legalo al palo delle cattive azioni. Resterà lì per almeno una settimana. Potrai dargli solo acqua, e un tozzo di pane al mattino. Se vedo che gli dai altro da mangiare guai a te. Finirete entrambi al palo. Al buio. Amare vuol dire anche essere severi.»
Lou, apatica, accompagnò il fratello al palo.
«Mi dispiace» gli disse con gli occhi gonfi.
Lo ammanettò. Una catena di acciaio di trenta centimetri legata allo spesso palo di cemento. Di fianco a lui c’erano un materasso usurato, un vecchio secchio blu dal pessimo odore. In alto, una piccola finestrella rifletteva un minimo di luce solare.
«Dispiace anche a me» rispose Reed.
Il padre li raggiunse per controllare che tutto fosse apposto, agitando in aria la pistola.
«Ok. Chiudiamolo dentro. È per la sua educazione.»
Reed scivolò con la schiena lungo il palo; abbassò la testa. Soffiava forte col naso, iracondo e impaurito al tempo stesso.
Venus in Furs, daccapo.
Il padre, puntandole la pistola alla schiena, condusse la figlia a letto.
«Spogliati» ordinò.
Scaricò l’arma, la poggiò sul tavolo e tornò da lei.
«Segami» le disse, e lei eseguì. «Ecco, potrebbe essere così semplice fra noi… perché complicate sempre le cose?»
Il padre tirò indietro il collo, chiuse gli occhi e mosse il busto in avanti. Piccoli colpi.
«Con l’altra mano toccati. Lavoratela bene, non voglio trovarla secca.»
La ragazza si inumidì le dita e si penetrò. Cambiò idea e stimolò il clitoride.
«Mmh, ah…»
Il vecchio bloccò il braccio della figlia.
«Mettiti a pecora.»
Si alzò, picchiettò con due dita sulla radice. Sputò sulla mano e inumidì la vulva. Fece per entrare.
«Dammelo più su…»
Lou inarcò la schiena e alzò il sedere.
Entrò con forza. Poggiò le mani sui glutei e spinse a un ritmo moderato. Rallentò, sul volto si disegnò una smorfia di fastidio.
«Cristo Lou, sei troppo secca… SEMPRE COSÌ SECCA!» estrasse il cazzo, massaggiò l’asta.
Reed rizzò su e urlò come una bestia. Tirava la catena, dava calci ai muri, mordeva le manette.
«Falla finita» gli urlò il padre, ma non fu quello ad acquietarlo.
Un luccichio. La luce rifletté un pezzetto di qualcosa che era in larga parte nascosto sotto al materasso.
Lou fece per girarsi.
«RESTA COSÌ. Non muoverti.»
Culo in aria, obbedì.
Il padre andò in cucina. Aprì uno scaffale in alto e prese dell’olio di semi. Tornò da lei e glielo versò fra l’ano e la vagina. La penetrò con le mani.
«Ok» il vecchio poggiò a terra la bottiglia di plastica ed entrò. «L’erezione ha un po’ diminuito d’intensità. Quindi resta ferma e fai fare a me, devo riprenderla.»
Lou sgranò gli occhi, pianse in silenzio. Fissava il vuoto, senza sentire alcunché se non la puzza d’olio per tutto il tempo.
Il padre le venne dentro, uscì e la lasciò così. Recuperò i vestiti e la pistola e se ne tornò su.
«Non dargli da mangiare» le ricordò, richiudendoli.
La musica si fermò.
Sessione dietro le quinte.
Lou allargò le gambe e si accovacciò. Contraeva la fica e lo sperma fuoriusciva insieme all’olio. Ringoiò un rigurgito e infilò tre dita nella vagina. Raschiava dalle pareti la sborra rimasta. Grattò con più forza, finché non sentì qualcosa di liquido sui polpastrelli. Si trovò la mano sporca di sangue.
Corse in bagno e vomitò, le mani poggiate sul water.
«Lou? Che succede?»
Lei pianse senza trattenersi. Aprì l’acqua nella vasca e mentre attendeva che si riempisse, sciacquò la bocca e lavò via il sangue.
«Rispondimi!»
Versò nella vasca mezza confezione di detergente intimo e vi si immerse, pulendo solo la vulva; la trattò con delicatezza.
«STAI BENE?»
Si stese fino a che l’acqua non le bagnò i capelli. Un senso di pace ritrovato la portò ad abbandonarsi al sogno.
La madre era inginocchiata di fianco a lei. Le lavava la schiena. Le accarezzò una guancia.
«La prima volta che lo fece a me, ebbi la stessa reazione. Anzi, fui molto più violenta. Ci infilai dentro addirittura uno straccio» e ne rise. Inzuppò la spugna, le alzò la fronte e liberò l’acqua, che le bagnò la testa. «Alla fine basta accovacciarsi e contrarre, spingere giù tutto lo schifo e sperare.»
Lou era tornata bambina. I capelli erano più corti, arrivavano al collo. Portava un cerchietto con su scritto il suo nome. La madre glielo tolse, prese la spazzola e la pettinò.
«Vi chiedo scusa. Sareste dovuti morire voi, non io. Come è successo agli altri. Avrei dovuto salvarvi quando ancora eravate dentro di me.»
La bambina pianse.
«Dici queste cose orribili perché non ci ami, invece il Padre…»
«Mi ha incrinato come non potrà mai fare con voi. Siete la mia speranza.»
«Cosa c’è davvero là fuori, madre?»
«Non credere sia tanto diverso da qui. È solo più caotico, e quel caos può sorprenderti con cose terribili o meravigliose. Nel dubbio, scegli sempre di avere una possibilità. Scegli di rischiare» la madre le baciò il naso e sparì.
«Sei lì? Ma che succede…»
«Reed, è tutto ok…» rispose al fratello.
«Non chiamarmi in quel modo, te ne prego. Non è il nome che mi sono scelto io.»
«Quando ti deciderai a scegliertene uno, allora ti chiamerò con quello.»
«Perché rispondi solo adesso? Che è successo? Ti ho sentita piangere…»
«Niente. Non è successo niente. Comunque adesso vengo e parliamo.»
Uscì dalla vasca, indossò l’accappatoio e lo raggiunse al palo delle cattive azioni.
«Che ti ha fatto?» le domandò.
L’osservava in silenzio. L’occhio scese fino al pube.
Reed le andò incontro fino a quando la catena lo permise.
«Devo dirti una cosa.»
La sorella chiuse la porta, scattò verso di lui e lo baciò con foga.
«Mi hai sentito? Hai sentito quello che ho detto?»
Lou lo zittì con la mano.
«Devo portarti qualcosa. Sembrerà strano se resto qui senza averti portato niente. Ti porterò dell’acqua, e magari un libro. Non ha detto niente sui libri, no?» e se ne andò lasciando la porta socchiusa.
Reed girò intorno al materasso e si chinò per meglio osservare il pezzo di vetro che aveva trovato. Alzò lo sguardo verso la finestra.
“È intatta”, pensò. “E sembra molto resistente…”
Lou tornò con una bottiglia d’acqua e un libro. Richiuse la porta e li poggiò a terra.
«Cuore di tenebra? Ma l’ho già letto cento volte.»
Lo baciò. Prese a toccarlo con fame, gli leccò il collo.
«Aspetta, devo dirti una…»
Cercò di togliergli la maglia.
«È un po’ complicato» disse, e ne risero.
Si inginocchiò di fronte a lui.
«Voglio scoparti. Tu vuoi?»
«Non lo so, io…»
Gli tirò giù tutto e lo prese in bocca.
Reed sentì un’ondata di piacere che arrivò fino al palato.
La sorella lo trattenne per intero in bocca finché riuscì, scuotendo la testa come un predatore. Sputò sul glande e rimise in bocca solo il prepuzio, che massaggiò con la lingua. Tamponava centralmente e poi ruotava. Si scostò e lo premette sul viso, baciandoselo.
«Voglio fare… SOLO QUELLO CHE VOGLIO FARE» disse Lou. Aprì l’accappatoio, afferrò il cazzo del fratello e se lo sbattete sulle tette, strofinando il glande sui capezzoli.
Reed schiena al palo, la sorella sopra di lui direzionò il pene verso la vagina.
«Non entra, fa male» disse, ma lei non gli diede retta. Si alzò, la inumidì e ci riprovò.
«Spingi forte» gli disse, e Reed diede qualche colpo finché non entrò.
«Fa male.»
Lo azzittì baciandolo. Prese a muoversi sopra di lui.
«Le mani dietro la schiena, stringimi» disse, e lui eseguì.
Lou nascose le mani nei suoi capelli, li arruffò. Alzò la testa e fece roteare il collo ansimando.
«Prendimi forte» gli disse, e Reed la bloccò con le braccia e aumentò il ritmo. Rincorreva i seni con la lingua e con le mani i glutei. Il gelido metallo delle catene la fece rabbrividire.
«Oddio sì» gemette lei.
«Scendi.»
«No, continua…»
«Scendi.»
«Continua, ti prego.»
Il fratello si appese dietro alle spalle e spinse con rinnovato vigore.
«U-Aah» urlò, venendole dentro.
Lou continuava a muovere il bacino godendosi l’orgasmo dell’amante. Quando ebbe fine, gli si afflosciò addosso. Lui l’abbracciò.
«No, giù le mani. La catena…»
Reed fece attenzione a non toccarla con le catene.
«È stato strano» disse lui. «È come se ci fossimo un po’ forzati.»
«Va bene… va bene lo stesso.»
«Ma io vorrei che…»
«Ne avevo bisogno Reed. Per piacere, sta zitto e baciami.»
Reed le diede decine di baci sulla faccia, al che lei scoppiò a ridere.

«Ti amo» gli disse.
«Ti amo» rispose.
Lou gli scese da dosso, si coprì con l’accappatoio e si rannicchiò al suo fianco, con la testa poggiata sulla coscia. Strinse le gambe; la vagina le bruciava.
«Ho sognato anch’io nostra madre.»
«Quando?»
«Prima. Ecco perché non ti rispondevo: penso di essermi addormentata nella vasca.»
«Che hai sognato?»
«Era bellissima proprio come dicevi tu, e molto dolce. Anche se…»
«Anche se?»
«Niente, mi ha detto cose che non riesco a capire fino in fondo.»
«Era solo un sogno.»
«Lo so…»
Le scappò un impercettibile lamento. L’irritazione peggiorava.
«Ehi, che c’è?» domandò lui.
“Sente sempre tutto”, pensò la ragazza.
«Tutto ok?»
«Sì, sto bene.»
Reed scostò i capelli bagnati baciandole il collo e l’orecchio.
«C’è qualcosa che devo mostrarti.»
Le sollevò piano la testa e si alzò. Tirò su il materasso quel poco da permettergli di prendere il pezzo di vetro. Lo passò alla sorella.
«Fa attenzione.»
«Ma cosa…»
«È abbastanza spesso e molto affilato. È la cosa più vicina a un’arma che abbiamo. Nascondilo e usalo per proteggerti. Finché sono qui, lui si concentrerà su di te. Non voglio più sentirti piangere.»
«Ma da dove viene?»
«Penso che quella finestra sia stata sostituita in passato. Forse qualcuno la ruppe.»
«Chi?»
«Non so, potrebbe anche essere stata nostra madre» Reed le si sedette di fianco. «Nascondilo da qualche parte e appena ne hai l’occasione, tagliagli la gola.»
«Reed…»
«Non chiamarmi così. Chiamami come vuoi ma non con quel nome.»
«Forse potrei convincerlo a liberarti la prossima volta che scende… sai, solo per quello.»
«È un’idea, così saremo in due.»
«Abbiamo più possibilità insieme.»
Lou rise, stringendosi al fratello.
«È un piano perfetto, se non per il fatto che ucciderlo significa rimanere chiusi qui senza nessuno che provveda a noi.»
«Qualcosa accadrà. Troveremo un modo. Potremmo torturarlo finché non ci rivela il codice.»
«E poi cosa faremo là fuori?»
«Ce la caveremo. Potrebbe essere meno peggio di come lui ce l’ha descritto» l’accarezzò, baciandole la spalla. «Ma deve morire. In ogni caso deve morire.»
«Pensavo ci amasse.»
«Noi ci amiamo. Lui ci tormenta.»
Terza sessione.
“Who loves the sun
who cares that it makes plants grow
Who cares what it does
since you broke my heart…”
“Who Loves the Sun” dei The Velvet Underground venne fatta partire.
Lou uscì a piedi scalzi dalla sala dello svago. Indossava una camicia da notte trasparente. Raggiunse il letto a castello, afferrò una bottiglia d’olio, la stappò e annusò. Le sue labbra tremarono. La richiuse e la fece scorrere sotto alla rete.
“Pa-pa-pa-pa, Who loves the sun…”
La porta metallica scattò. Entrò il padre.
“Pa-pa-pa-pa, Not everyone…”
La salutò con un cenno della mano. Si guardò intorno.
«Hai messo a posto il casino fatto da Reed. Brava.»
La ragazza si sedette sul letto, poggiò le mani sulle ginocchia.
«Fa caldo oggi?» gli domandò, notando la polo azzurra a maniche corte.
«Lì fuori è un forno» disse. Si inumidì il pollice e tentò di togliere via una macchia scura sopra ai pantaloni beige. «Tuo fratello come sta? Dopo controllo le videoregistrazioni, guai a te se…»
«Gli ho portato solamente acqua e pane. E un libro.»
«Un libro?»
«Non hai detto niente sui libri.»
«Si è pentito di quello che ha fatto?»
«Molto. È disperato. Spera con tutto il cuore di poter essere incluso, oggi, solo per dimostrarti che ti ama e ti rispetta. Non vuole sottrarsi alla punizione però: una volta finito tornerebbe lì.»
«E tutto questo amore da dove viene? Due giorni fa non c’era che disprezzo.»
«Come hai detto tu, è la nostra età il problema. Scusaci padre.»
«Come hai detto Lou?»
«Scusaci, “Padre”.»
«Mmh, sì. È un’età burrascosa, terribile. Siete fortunati ad avere una guida come la mia. Io mica ce l’ho avuta…»
«Vieni Padre, raggiungimi.»
Who Loves the Sun ripartì.
Lo fece sedere accanto a sé. Lui le poggiò la testa sulla spalla.
«Mia piccola Lou… questa settimana mi trasferisco qui. Loro non mi rivogliono, li ho persi per sempre.»
«Ma hai noi. Completamente.»
«È vero». Il padre le palpò i seni.
«Accarezzamelo.»
Lou gli tastò il cazzo da sopra ai pantaloni. Li sbottonò e li tirò via. Il vecchio alzò le gambe.
«Ma che fai, prima le scarpe!»
La figlia s’allungò verso le sneakers blu, le slacciò e le tolse.
«Anche i calzini» ordinò.
Lo svestì del tutto, si fece strada tra le cosce, allontanò l’irsuta peluria e sollevò il cazzo molle con la lingua, facendolo entrare in bocca.
«Attenta che l’ultima volta m’hai graffiato. Ricordami di tirarti quel dente.»
Il padre le raggruppò i capelli e li tese in una coda. Raggiunta l’erezione, glielo spinse in gola con energia. Si eccitava sentendola soffocare.
Lou resistette, ringoiò il vomito e lacrimò dallo sforzo finché lui la liberò. Lei scattò indietro e si asciugò gli occhi. Respirava affannata.
«Lo facciamo venire Padre? Fatti dimostrare quanto t’ama…»
Lou, ancora ansimante, ricominciò a succhiare.
Le afferrò un capezzolo e lo strizzò. La figlia si sforzò di non dare a vedere il fastidio provato.
«Liberalo pure. Ma può solo guardare e segarsi. Ha detto che non voleva essere più toccato, no? Che sia.»
Scostò la figlia e si alzò. Prese il pantalone, cercò nelle tasche la chiave delle manette e gliela consegnò.
«Va’, muoviti» disse, e tornò a letto. Si masturbò spremendo le palle.
Lou si fermò davanti alla porta. Portò su un pezzo della camicia da notte e si pulì la saliva intorno alla bocca. Entrò.
«Il Padre vuole che assisti» gli disse, e lo liberò. Si abbracciarono per darsi forza e lo raggiunsero.
«Voglio che ti siedi là nell’angolo. Puoi solo guardare e toccarti» disse severo il padre.
Reed annuì, salì sul letto e si raggomitolò nel punto indicato.
L’uomo alzò la camicia di Lou fino a spogliarla. Inumidì il cazzo e la sua fica, la fece salire sopra.
Who Loves the Sun, di nuovo.
La ragazza nascose il volto con le mani e lo cavalcò.
«Toccati Reed. Toccati o tornatene al palo» rimproverò il ragazzo, che immobile assisteva allo stupro. La mano scese dalla pancia fin dentro ai pantaloni. Finse di masturbarsi.
«Fammelo vedere… ahi.»
Il figlio scoprì il pene e si masturbò svogliato.
«Così, bravo… ahi» il padre tolse Lou da dosso. «Che cazzo, sei insopportabile.»
« P… padre, scusami.»
«“Scusami, scusami Padre”» la schernì. «Cerca di bagnarti invece di chiedere scusa. Scopare te è come scopare la sabbia» la fece girare e piegare. Le sputò dentro alla passera. «Prendilo così.»
La ragazza se lo mise dentro, usò le gambe di lui come appiglio e andò su e giù. Il padre chiuse gli occhi e la lasciò fare.
Lou si accovacciò fino a toccar terra con la punta delle dita. Afferrò qualcosa sotto al letto. Reed tese i muscoli. Assunse la posizione di un felino prima del balzo.
La sorella teneva ben saldo il pezzo di vetro e faceva pressione sul cazzo con foga. Il culo si scagliava con rabbia sul pube del vecchio. Reed inarcò le sopracciglia.
«Piano» disse il padre, dandole un colpo sulla schiena. Ma lei fece più forte. «Piano!» aprì gli occhi, la strattonò. «Sei impazzita? HO DETTO CHE DEVI ANDARE PIANO.»
Lou sbatteva sul cazzo urlando e puntando i piedi. Quello fuoriuscì dalla vagina e lei lo travolse col suo culo.
«Ahia cazzo!» disse l’uomo, e la spinse. «Sei una malata, sei peggio di tuo fratello! Legata al palo al suo posto, questo ti meriti. Tu e la tua schifosa fica sabbiosa.»
La ragazza cadde a terra, si ferì alla gamba destra col pezzo di vetro.
Un altro giro di Who Loves the Sun.
Reed notò il sangue e i suoi occhi si fecero di fuoco. Scattò contro di lui, gli infilzò le unghie nel braccio e lo morse al collo. Il padre lo colpì con una gomitata al ventre ma lui non mollò la presa. Gliene assestò un’altra e un pugno col sinistro. Si liberò, s’alzò. Portò la mano al collo sanguinante.
«VOI SIETE DELLE BESTIE! IO VI RINCHIUDO QUI PER SEMPRE!»
«Tu ci rinchiudi?» disse il figlio, riprendendosi dal colpo. «TU CI RINCHIUDI?» ripeté, scoppiando in una sonora risata. «TU CI HAI FATTO NASCERE RINCHIUSI.»
«Allora vi ammazzo.»
Corse verso le scale, ma il figlio scese dal letto e gli saltò sulla schiena. Caddero entrambi. Ruotavano uno sopra all’altro prendendosi a pugni e a morsi.
Uno schiocco di dita e la musica cambiò. Dal nulla partì: “Waves of Fear”, del solo Lou Reed.
«Waves of fear, attack in the night
waves of revulsion, sickening sights
My heart’s nearly bursting
My chest’s choking tight…»
La ragazza notò il fratello in difficoltà. Strinse il pezzo di vetro e incurante dei tagli si alzò.
Il vecchio era sopra al figlio, le palle schiacciate sul petto di lui. Due pugni in mezzo agli occhi lo stordirono, lo strangolò con ambo le mani. Premeva coi pollici sul pomo d’Adamo. Reed, disperato, non poté far altro che stritolargli il cazzo.
La presa al collo si allentò.
«Waves of fear, pulsing with death
I curse my tremors
I jump at my own step
I cringe at my terror
I hate my own smell
I know where I must be
I must be in hell…»
Lou e Reed ebbero una visione della madre, legata al palo delle cattive azioni. Nuda, la schiena sudata poggiata sul blocco di cemento, i lunghi capelli castani a coprire i seni. Si masturbava stimolando il clitoride, con gli occhi chiusi. Muoveva le gambe avanti e indietro, le dita dei piedi arricciate.
Una mano bianca alle spalle del padre gli portò su il mento, scoprendo il collo. Il vetro lo squarciò da parte a parte. Il sangue arterioso sgorgò dal taglio insozzando Reed, che lo accolse piangendo per la gioia.
“Waves of fear, waves of fear…”
S’accasciò di lato, la mano a premere sulla ferita. Bofonchiava parole incomprensibili. Si girò supino e vide la figlia, nuda, sopra di lui. Le tese la mano e lei, senza battere ciglio, gli recise il polso. L’uomo scalciò, si girò, fece per alzarsi ma crollò a terra. Lei lo raggiunse, lo rigirò supino e gli si sedette sopra. Conficcò il pezzo di vetro sotto al collo. Stappò la bottiglia di plastica, gli tenne aperta la bocca e lì la ficcò svuotandogli l’olio in gola. Distese le braccia ed emise un verso di godimento.
La madre strusciava la schiena contro il palo. Ruotava le dita con più enfasi.
Lou spinse il vetro più in profondità e lo fece scendere, aprendo le carni fino all’ombelico. Il corpo martoriato venne investito da tremolii convulsi e gorgoglii. Gli occhi sgranati non si chiusero sull’ultimo respiro.
Margherita strinse i glutei, portò su il bacino e venne squirtando fino ai piedi. Scivolò a terra, colta da spasmi.
Uno schiocco di dita e la musica si fermò.
La ragazza si cosparse viso, ventre e seno col sangue del suo carceriere. Reed la raggiunse e l’abbracciò.
«È finita, Lou.»
«Prendimi» disse, ed estrasse il pezzo di vetro che gettò lontano.
«Cosa?»
«Ti voglio dentro.»
Lou si stese sopra al padre, la schiena poggiava sul tronco squarciato. Il fratello si spogliò e la raggiunse masturbandosi. Lei si inumidì la fica bagnandola col sangue dell’uomo.
«Tu non avrai mai una fica asciutta» gli promise mentre entrava.
Spingeva piano. La baciò dietro le orecchie, le loro mani si intrecciarono. Scopando, il taglio s’allargava.
«Ti voglio di più» gli disse.
«E io ti vorrò sempre» le rispose.
«Ci amiamo Reed?»
«Sì, ci amiamo.»
«Scusami» gli sussurrò.
«Per cosa?»
«Ti ho chiamato con quel nome.»
Reed inarcò la schiena, s’alzò quanto bastava per vedere i suoi seni muoversi a ritmo.
«Non è più importante.»
Il fratello l’afferrò per le spalle mentre la sorella gli poggiò le mani sui glutei e lo aiutò a spingere.
Lo squarcio s’allargò tanto che li risucchiò dentro al padre. E lì, immersi nel sangue e nelle viscere, vennero insieme.
Al palo delle cattive azioni comparve Mefisto. Beffardo, si lisciò il pizzo osservando il corpo grondante di sudore di Margherita. L’aiutò ad alzarsi, le sorrise e schioccò le dita: le manette scomparvero.
Accompagnandola per i fianchi la portò nella sala principale. I figli emersero dal padre e corsero ad abbracciarla.
Stette a guardarli massaggiando il mento. Le labbra si mossero, lo sguardo compiaciuto mutò.
Schioccò le dita.

Angelo A. Izzo è un’entità strana da definire. Pare sia nato a Benevento il primo giovedì di marzo nell’anno 1996. Fuori nevicava, il sole era a metà del suo ciclo.
Operatore Socio Sanitario di giorno, la notte dà sfogo ai suoi deliri letterari (o viceversa, dipende dai turni).
Autore di romanzi e racconti, sceneggiatore dissociato e regista weird indipendente, racconta di tutto ciò che è strano per delimitare nuovi confini di una normalità che si sfalda.
Ha pubblicato la raccolta di racconti “Il grembo materno” per Linkedizioni, il romanzo “Fucking Smiles” per AliRibelli edizioni e il romanzo storico “Il temibile lupo” per Argentovivo edizioni.
I racconti “Il corvo” e “Latte venuto dallo spazio”, sono usciti rispettivamente su Crack Rivista e Malgrado le mosche.
Ha sceneggiato e co-diretto i cortometraggi “Groppo in gola”, “Reflection” e “Linfa Grassa” insieme alla casa di produzione “Cuadro Film”, con cui ha realizzato anche la webserie thriller soprannaturale “Red Glow”.
Ma non basta. Non basterà mai.
Mail: angeloizzoautore@gmail.com
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