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QUALCHE TIRO E POI LA BUTTO
Carlo Massei
Mio nonno è morto a quasi novantaquattro anni e negli ultimi dieci della sua esistenza, in particolare negli ultimi otto, è stato parecchio rincoglionito.
Sì, rincoglionito, dico, perché quando un vecchio comincia a sbroccare in casa non è che si facciano chissà quali discorsi raffinati e ipotesi sulla demenza senile, sul Parkinson o sull’Alzheimer.
No, non è così che succede. Di solito capita che tua nonna, sentendo l’elettricità nell’aria, ti dice che c’è qualcosa che non va.
Capita che quello se n’è andato a fare un giretto con la macchina e si è perso; e qualcuno lo ha trovato in stato confusionale, lo ha riconosciuto, gli ha detto di stare tranquillo e ha chiamato tua madre che a sua volta ha chiamato tua zia che ha mandato tuo cugino a prenderti per andare a recuperare il vecchio e la macchina.
E non è facile convincere un vecchio rincoglionito a sedersi al lato del passeggero: è impossibile, per lui, accettare di non essere più in grado. Infatti succede che il vecchio si è arreso solo dopo avervi riconosciuti (tu e tuo cugino), poi ha preso il giornale dal cruscotto, lo ha aperto sul sedile e ci si è seduto sopra. E tu non hai capito quella mossa, ma l’hai lasciato fare perché avevi già abbastanza a cui pensare e, in fondo, dovevi solo riportare tutto a casa.
Nel tragitto, lui ha detto che non è possibile, che continuano a cambiare le strade e così le persone si confondono. Poi si è appoggiato con la guancia sulla mano e con la mano contro il vetro, senza cintura, ma non importa, e fino a casa ha solo mugolato.
Tu hai pensato per un attimo a Catullo perché tua nonna lo ha odiato e amato insieme, per essersi perso, per essere tornato intero, per essersi pisciato addosso.
Così sei corso alla macchina per buttare via il giornale, hai pulito il sedile e intanto sono arrivati tutti. Parenti e affini riuniti. Riuniti per capire cosa è successo, cosa bisogna fare ora, riuniti per scambiarsi sguardi perplessi e fare discorsi campati per aria, mica discorsi raffinati sulle malattie. Finché tu non hai detto la cosa sbagliata al momento giusto, perché in famiglia è il tuo ruolo e tu quel ruolo lo rivendichi con orgoglio, e insomma hai detto che per te nonno si è rincoglionito.
Le cose poi sono cambiate in fretta; le case sono cambiate: si è aperto un passaggio interno e si è installato un interfono per neonati. Anche se, a pensarci bene, questo forse non è successo subito ma solo dopo quella volta che il vecchio si è svegliato nel cuore della notte e si è sorpreso di trovarsi una vecchia nel letto. Allora l’ha prima scossa e poi le ha urlato contro chi fosse lei, cosa ci facesse lì e, soprattutto, cosa ne avesse fatto di sua moglie. Poi ha allungato la mano verso il bastone e ha iniziato a malmenare ma lei, dopo le prime botte, è riuscita a disarmarlo e a gridare aiuto. Dalla casa accanto siete arrivati che lei si teneva una mano sull’occhio mentre lui le mordeva il braccio e li avete separati.
Quando hai detto che per fortuna lui aveva morso senza mettersi la dentiera, nessuno ha riso. Tu sai di aver rotto un altro silenzio dicendo la cosa sbagliata al momento giusto, e ti va bene così.
Allora sono spariti i fucili che lui voleva nascosti dietro una tenda, in barba alla legge, e si è installato l’interfono così che se si fosse svegliato in preda ai deliri sareste accorsi immediatamente.
E infatti è capitato che il vecchio si è svegliato in piena notte, ha spalancato la finestra e tu sei arrivato mentre lui chiedeva che fine avesse fatto la sua macchina, bastardi, gliel’hanno rubata.
Tu sai che la macchina è stata venduta due anni fa, dopo quella volta che lui si è pisciato addosso e gli avete ritirato la patente, tu e i tuoi parenti e affini riuniti. E quindi sei andato in cortile scalzo, hai preso la macchina di tuo padre e l’hai portata davanti alla finestra, sei sceso e gli hai detto eccola qui la macchina.
E lui, soddisfatto, ha chiuso tutto e se ne è tornato a dormire.
A tuo padre hai detto che avresti aggiunto problem solving creativo al curriculum e lui ti ha risposto solo che era tardi.
Dopo si sono fatte sempre più frequenti incontinenze, nudità, violenze, così come le loro contromisure: pannoloni, pomate, pastiglie. Il medico allora ha detto Alzheimer e i discorsi delle riunioni di famiglia si sono raffinati, si sono fatti più tecnici, tra valori di pressione e liste di farmaci, e sono diventati tutti infermieri. Tutti tranne te che hai sempre finto di non capire niente di quella roba lì.
È strano. Capita che a un certo punto, nel cuore della notte, i sonniferi perdano efficacia e i fatti più assurdi interrompano il sonno, del vecchio e di tutti.
Quindi lui si è svegliato perché qualcuno gli ha rubato i denti. Ma come i denti?
I denti. Dice che uno è entrato e glieli ha strappati uno per uno, a lui che i denti sono l’unica cosa che ha. Tua nonna chiede aiuto a qualche santo. Lui cammina per casa. Accendete tutte le luci e lo fate sedere sulla poltrona della sala e tua madre e tua sorella sono lì in piedi, in vestaglia, e ti guardano senza sapere che pesci pigliare. E le vene dei loro occhi ti chiedono di fare qualcosa, qualsiasi cosa.
È lì che hai preso tuo padre per il braccio, vieni con me gli hai detto, e l’hai convinto a mettersi la giacca della marina militare sul pigiama e una coppola in testa. Tu hai messo il cappotto doppiopetto e un basco.
La sua faccia ti ha chiesto cosa stiamo facendo, cosa?
E vi siete messi in piedi, di fronte al vecchio, e tu hai sfoderato un’improvvisazione fatta di vocali aperte e chiuse alternate, di zeta sonore al posto delle sorde, la migliore improvvisazione in carabinierese mai vista nella storia dell’umanità e nessuno crede a quello che sta succedendo.
Nessuno, a parte il vecchio, che al tuo adesso ci penziamo noi, firma la denuncia sul foglio bianco e se ne torna a dormire.
Tuo padre dice che è reato fingersi forze dell’ordine e tu commenti che effettivamente gli interpreti della serie carabinieri li avresti arrestati tutti, soprattutto Manuela Arcuri.
È più o meno così che capita.
Sembra che nulla possa essere ritrovato della memoria persa.
Invece, un pomeriggio, il vecchio ti chiede di comprargli le sigarette. Tua nonna con uno sguardo ti fa capire di andare che tanto, a questo punto, cosa cambia? E tu vai al tabacchino quasi di corsa e speri che al tuo ritorno lui si ricordi di aver espresso un desiderio.
Si ricorda. Ti guarda. Indica una sedia davanti alla sua.
E parte.
Racconta di quando ha rischiato di morire col carretto, che erano finiti nella scarpata lui, l’asino e la frutta; di quando è rimasto aggrappato alla balaustra del ponte, che per salvare la bicicletta per poco non ci lascia le penne; di quando era cuoco dell’esercito sotto i bombardamenti e a ogni allarme si gettavano tutti a terra e poi non li colpivano ma a lui toccava ripulirsi prima di riprendere a cucinare e quindi quella volta non si era voluto buttare per terra e si era appoggiato a un muro e aveva chiuso gli occhi, solo che quella volta li avevano colpiti ed erano morti tutti, tranne lui che è rimasto lì in piedi, ricoperto di polvere, con una scheggia conficcata nella chiappa, finché non l’hanno recuperato.
Sostiene di essere stato una delle persone più fortunate che ha conosciuto in tutta la sua vita.
Erano vent’anni che il vecchio aveva smesso di fumare, però la sigaretta gliel’hai accesa.

Qualche tiro e poi la butto, ti ha detto come ultima cosa.
E tu, allora, per la prima volta, hai pensato che valesse la pena lasciare andare quel silenzio troppo prezioso per essere rotto.
Quando il vecchio è morto, la sala si è trasformata in una camera mortuaria e i parenti e gli affini si sono riuniti a scambiarsi sguardi arresi, come a dirsi quel che è fatto è fatto.
Poi gli uomini dell’agenzia hanno detto a tutti di uscire che avrebbero dovuto chiudere la bara e nella stanza siete rimasti solo voi, tu e tuo cugino, per assisterli, in un silenzio insostenibile. Hai guardato per l’ultima volta il vecchio e poi tuo cugino con le lacrime appese agli occhi.
Hai detto che dopo tutti questi anni di pantofole, non ti ricordavi più che nonno avesse i piedi così piccoli. E tuo cugino ha pianto e riso insieme senza farsi vedere e tu sai che hai fatto bene.
Hai preso tutto il dolore, il malumore, dieci anni di rincoglionimento, l’hai raccolto, distillato e scritto, che ora è andata, non importa, in particolare negli ultimi otto anni della sua esistenza il dolore l’hai scritto per usarlo e rompere i silenzi anche di altre persone e tutto sommato ti va bene così.

Carlo Massei è nato nel 1990 a Sassari dove lavora al Museo Nazionale G.A. Sanna e organizza eventi culturali. Ha frequentato la Scuola Holden e racconta storie in tutto quello che fa ma la forma che predilige è scrivere racconti.
Mail: carlomass6@gmail.com
Instagram: @carlomass6
credits per la foto dell’autore: Ricordi Stampati


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