MORSI La prima call di Scomoda in collaborazione con FoodNet, per sostenere il progetto di prevenzione primaria dei disturbi alimentari, dedicato in particolare ai più piccoli 🧡
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MADELEINE
Martina Peroni
È sempre stata la mia foto preferita.
Lo è rimasta anche quando ho smesso di scattarne e di farmene scattare; quando controllare la mia immagine è diventata una febbre e quando invece ho iniziato a fuggire ogni riflesso. Vetrine finestrini specchi plexiglass. Lei si è salvata, forse proprio perché non ero più io. Non ero ancora io. Lei resta pulita e piccola nel suo angolo dai bordi d’argento, piccola di quell’età in cui non importa delle piegoline intorno ai polsi; piccola che se mangi un biscotto più grande di te fa solo tenerezza. Piccola di quell’età in cui a far paura è ancora lo spazio vuoto sotto il letto, non quello tra le costole.
Piccola. Ci piaceva così tanto, e guardaci adesso.
Quando torno dai miei finisco sempre per inciamparci: ciglia lunghissime e quel gigantesco occhio di bue alla marmellata tra le dita. Riesco a sentire la seta dello zucchero a velo sui polpastrelli, la confettura che scivola – così piena – appena oltre i bordi e il profumo, soprattutto. Il profumo. Sono diventata bravissima a immaginare l’odore del cibo, specialmente quello che non mangio più: burro e zucchero e crema pasticcera. Cioccolato fondente. L’aroma della torta al limone quando inizia a cuocere.
È che a un certo punto scatta qualcosa che non è dentro la testa, ma dietro le orecchie; è più subdolo, perché ti soffia a tradimento che non te lo meriti, e tu lo sai da un pezzo: dovresti smetterla di fingere che non sia così. Si infila nelle voci che ricordi da sempre, nel sai perché la merenda si chiama così? della nonna in grembiule davanti a Jessica Fletcher. Perché deve essere meritata. Si infila tra la pigra danza del sole con il pulviscolo sospeso e il profumo delle uova che lei sbatteva per me. I tuorli gialli con le minuscole bolle d’aria intrappolate. Lo zucchero che scrocchia sotto i denti. L’ho detto che sono brava. La campionessa delle madeleine dei sensi di colpa: così realistiche che ogni tanto devo ricordare che non sono necessari i cento squat per compensare, se l’odore l’ho solo immaginato.
E guardaci adesso.
La bambina nella foto ancora non lo sa. Qualcuno – papà – le ha messo in mano l’occhio di bue avvolto dagli inutili tovagliolini delle pasticcerie, accartocciati tra le dita. È quasi arrivata al cuore di marmellata, un sentiero tracciato a piccoli morsi e sbuffi di entusiasmo sullo zucchero a velo.
La nostra parte preferita, te lo ricordi?
Quando la giornata non è così cattiva, per ricordarmi di lei le parlo in seconda persona. Non è come quando le cose vanno davvero male, quando vorrei strapparmela di dosso – lì, dietro le orecchie, dove si è annidata – ed è una lei con cui non voglio parlare. Davanti a quella foto è più un’idea: la persona che sarei. La persona che sarei stata se non.
Non lo spiegano mica, come bisogna parlare a sé stessi quando non hai più quindici anni e ti ammali – ti ammali, ho letto proprio così da qualche parte, e somiglia a una cosa che ha scritto Michi: mi sono beccata l’anoressia. Come ci si becca l’influenza: una cosa che passa. Un giorno succede a me e domani può succedere a te.
Ma è successa a noi.
La nostra parte preferita.
Sul post-it c’è la scrittura quasi illeggibile di papà, lui che a malapena firma i biglietti di auguri perché detesta la sua stessa grafia. La nostra. Lui non lo mangiava mai, l’occhio di bue: ordinava un aperitivo e mi strizzava l’occhio mentre mangiavo il mio biscotto a occhi chiusi. Merenda, dal latino merere, ovvero meritare. Oppure anche no. La nostra parte preferita era quella: la domenica mattina da soli a goderci qualcosa per il semplice gusto di farlo. Niente meritare. Niente compensare. La purissima, fragilissima felicità di essere insieme, io e lui, di nascosto, ebbri di bollicine e di zucchero a velo e di tutte le cose che ci mettono in testa di dover meritare.
A noi, proprio a noi.
Il post-it è attaccato su un sacchettino di carta oleata. Carta lucida e croccante da pasticceria. La traccia di burro che filtra promette esattamente quel profumo, più preciso che mai.
È domenica mattina. La nostra parte preferita.
Forse un’annusata posso darla.

Classe 1991 con un talento per dimostrare meno anni di quelli che ha, sin da piccolissima si nutre di storie, e quando quelle degli altri non le bastano ne inventa di proprie. Legge e scrive in italiano e in inglese, appena può partecipa a corsi di scrittura (Scuola Holden, Itaca Colonia Creativa, Chi ha paura della pagina bianca) e si complica la vita con lo studio del russo. Nel suo cassetto: il sogno di vivere vicino al mare, più di un romanzo e diversi racconti, alcuni dei quali pubblicati online (Rivista Blam, Nessunolegge, Bomarscé). L’occhio di bue le fa ancora un po’ paura, ma ci sta lavorando.
Instagram: @myworldinakallax


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