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YELLOW
Ilaria Pizzini

Le note di una canzone – di quella canzone – raggiungono la ragazza come in un sogno. Certo non può essere che un sogno, questo.  Le braccia che la avvolgono sono dolci, come le parole che le arrivano all’orecchio. La sua canzone. 

Ecco: è ancora una bimba e vede la mamma che lava i vetri in piedi, sulla seggiola della cucina. Lei, con il vecchio vestito con le farfalle, i piedi nudi, tesi nello sforzo di arrivare fino in cima. Quando scende dalla seggiola la stringe forte. Un abbraccio che sa di amore e di limone, come le bucce messe sulla stufa d’inverno.

«Yellow», è la mamma che la chiama dalla cucina.

Dorota ha sei anni e proprio non capisce.

«Mamma, ma io mi chiamo Dorota, perché tu mi chiami sempre Yellow?»

Lei sorride. «Perché i tuoi occhi hanno le stesse sfumature gialle del topazio, una bellissima pietra preziosa». Non che l’abbiano mai visto un topazio vero, ma la mamma ha una foto presa da un vecchio giornale, la conserva come un tesoro. 

Una mano le accarezza il volto, con dolcezza. Nulla a che vedere con le mani e gli occhi del suo patrigno, sempre più insistenti e crudeli dopo la morte della mamma. Un mattino, con la scusa di andare al mercato, è salita sulla corriera che porta in città e lì ha girato quartiere su quartiere, fino a trovare il suo primo lavoro: cameriera in un vecchio bar scalcagnato. La padrona ha avuto compassione a vedersela davanti così: magra, smunta, con quegli occhi bellissimi e strani.

«Quanti anni hai?»

«Diciotto. Appena compiuti».

La donna l’ha guardata di traverso, come a dire che non l’ha certo ingannata, ma non ha replicato. Le ha solo chiesto: «Hai un posto dove stare?», Dorota ha scosso la testa. Un cenno brusco, le prime istruzioni: «Puoi dormire lì dietro, dovrai stare al bancone a servire. Ricordati di non accettare mai inviti dai clienti, capito?».

Dorota ha annuito.

Tre anni sono passati così, in un lampo. Ogni tanto alla radio sente la sua canzone: la mamma è ancora lì. Ovunque sia, la pensa e le vuole bene.

Non può essere un caso se Bolek è entrato nel bar proprio mentre i Coldplay dalla vecchia tv suonavano “Yellow”, almeno così ha pensato guardandolo di sottecchi. Biondissimo, non alto ma snello e muscoloso, un sorriso aperto e cordiale. Gli ha servito una birra, lui le ha sorriso.

È tornato più volte, portandole ogni giorno un pensiero: un fiore, una scatola di cioccolatini, un braccialetto. Una sera ha chiest alla padrona il permesso di portarla fuori a cena. Lei l’ha guardato fisso negli occhi: «Va bene, ma alle dieci devi riaccompagnarla qui».

L’ha portata in trattoria, niente di speciale, ma a Yellow sembrava di essere una vera signora. Bolek ha parlato tanto del suo lavoro in Italia, fa il muratore. «A Milano si sta bene, ma io voglio sposarmi con una donna delle mie parti. Tu sei bella, sei dolce, sarai la regina della casa! Non patirai la fame, mi prenderò io cura di te».

Quante volte Yellow ha ripensato a quelle parole quando si trovava sull’aereo, la mano stretta in quella di Bolek, gli occhi topazio curiosi e timidi insieme.

Fotografia scattata dall’autrice

Milano l’ha spaventata. La città vista dal taxi è enorme, migliaia di persone sfrecciano ovunque, ognuna sicura su dove andare e cosa fare. Quando l’auto si è fermata davanti a un bel palazzo, Dorota ha visto sull’altro lato della strada una grande insegna: “Yellow” e in qualche modo si è sentita la benvenuta. L’appartamento in cui Bolek l’ha portata però non è il bilocale di cui lui le ha parlato più volte – «Vedrai tesoro, è piccolo ma c’è tutto e sono certo che con te diventerà ancora più bello».  L’ha accolta una signora elegante, che l’ha accompagnata subito nella sua stanza, l’ultima, in fondo al corridoio e che le ha preso la valigia coi pochi abiti dicendole con fare sbrigativo: «Qui questi stracci non ti serviranno. Questo è un ambiente signorile, i nostri clienti non sono certo dei morti di fame. Domani provvederemo al tuo nuovo guardaroba e ti spiegherò le regole della casa». Andandosene ha chiuso a chiave la porta; Bolek fermo all’ingresso, il viso duro senza un sorriso, le ha detto solamente: «Addio, Yellow».

Lampi di dolore attraversano i sensi di Dorota.Non ricorda cosa le abbia fatto più male: se le “regole della casa”, spiegate a suon di schiaffi dalla signora elegante, o gli occhi spenti delle altre due ragazze che ha incrociato in corridoio, uno dei primi giorni. Poche le occasioni di vedersi, in verità. Ogni camera ha un piccolo bagno, non per la comodità delle ragazze, certo, ma per quella dei clienti; in cucina si va a turno, è la signora che decide se e quando si può mangiare. Un giorno ha visto Bolek, gli è corsa incontro, si è aggrappata alle sue gambe piangendo, gli occhi topazio annebbiati dalle lacrime. «Aiutami, portami via di qui. Voglio tornare a casa» ha singhiozzato. 

Le è arrivata, più dolorosa di uno schiaffo, la sua risposta «Questa è casa tua. E ringrazia il cielo che sei bianca e bionda, altrimenti a quest’ora eri ferma sulla Binasca, intorno a un falò».

Il suo arrivo ha fatto scalpore: la signora non ha smesso di magnificare i suoi “occhi di topazio”. Ha cominciato a conoscere i clienti. È vero, sono tutti uomini facoltosi, a giudicare dai vestiti e dagli orologi che portano. Sembrano anche gentili, per quanto possano esserlo in questa situazione. All’inizio passava le notti sognando di fuggire, ma dove, come? Piano piano la speranza si è affievolita e ha lasciato spazio alla rassegnazione. Nel giro di un anno Yellow si è per così dire ambientata, non pensa più a scappare. Le piace ancora guardare dalla finestra l’insegna dall’altra parte della strada. 

«È un ostello» le ha spiegtoa Valentina, la ragazza con cui ha fatto amicizia. Con Svetlana no, lei ha sempre la faccia arrabbiata. 

Qualche mese fa ha conosciuto Marco. Cliente giovane rispetto agli altri, quasi un ragazzo.

«Ha fondato una start up di servizi online» lo ha sentito dalla signora, lo diceva a qualcuno al telefono. Dorota non ha capito nulla, ma il tono le è sembrato importante.

Marco è diverso, sin dalla prima volta le ha chiesto di parlare di lei, del suo passato e della sua casa lontana. A lui ha spiegato il motivo del suo nome. Ultimamente Marco viene spesso, due o tre volte la settimana; per lo più parlano, lui l’accarezza piano, con dolcezza. L’altra sera le chiesto dei suoi desideri, dei suoi sogni.

«Io non ho sogni» ha risposto Dorota, stupita. Marco le ha stretto forte la mano. 

«Però forse ho un desiderio» ha sussurrato. «Dopodomani è il mio compleanno: vent’anni. Mi piacerebbe una fetta di torta con le candeline».

«E torta di compleanno sia! Ci vediamo dopodomani, pagherò alla signora l’intera giornata, così non dovrai lavorare».

Oggi pomeriggio però la signora le è entrata in camera. «Preparati, c’è un cliente nuovo».

«Ma io oggi devo lavorare solo per Marco!»

«Lo so, ma cosa vuoi che faccia? È arrivato all’improvviso, è di passaggio a Milano. Gli sei stata raccomandata dall’ingegnere, dice che sono amici. Gli ho detto che può fermarsi solo un’ora, non di più. Così Marco non lo saprà nemmeno».

Dorota ha chinato la testa. L’uomo è entrato, istintivamente lei si è ritratta. Ha gli occhi crudeli come quelli del suo patrigno, pensa in un lampo. Lui si avvicina; in silenzio le sferra un pugno nello stomaco, e poi un altro e un altro ancora. Dorota non ha fiato per urlare. Nel frattempo le taglia il vestito con un coltellino – uno di quelli rossi, piccoli – la immobilizza, le entra dentro con violenza, con la lama disegna ghirigori sulla sua pelle bianca. Lei sviene.

«La ragazza è stata brava, forse tornerò. Ora la lasci riposare, ne ha bisogno» ha detto l’uomo andandosene.

Ancora quella canzone.

Dorota finalmente riconosce la voce, è quella di Marco. Appena entrato ha urlato, chiamando la signora. «Un’ambulanza, presto!»

Lei ha provato a dire qualcosa, lui le ha ringhiato contro, lei è corsa a telefonare.

Ora Marco tiene Yellow fra le braccia, cullandola con la sua canzone. Una sirena si avvicina. Sul tavolino, da un pacchetto mezzo sfatto, si intravede una torta e una candelina col numero 20.

Ilaria Pizzini

Sono nata a Pavia, ma vivo in Maremma. Mi sono occupata di Risorse Umane in varie organizzazioni. Amo camminare e adoro il mare, soprattutto da una barca a vela. Ostinatamente curiosa, mi piace conoscere vita e storia dei luoghi che visito e delle persone che incontro. Alcuni miei racconti, finalisti in premi letterari, sono stati pubblicati nelle relative antologie¸ tra questi il premio “Racconti nella rete” nell’ambito del festival LuccAutori, il premio “Giallo milanese 2023” e il premio Nabokov sez. Racconti inediti.

Facebook: Ilaria Pizzini

Instagram: @ilary.pv

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