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LA BESTIA
Laura Calagna Bambini

«Non è venuta la Bestia, stanotte?»

La voce di mia sorella è un sussurro sporco di sonno e paura. Non ho voglia di risponderle, mi porge la stessa domanda da anni e ogni mattina ci raccontiamo la stessa bugia. Lei se la fa andare bene e io mi accontento di non dover prendere una posizione. Ancora.

Berlinguer ci plana addosso con tutta la sua rossa strafottenza e si stende sulla pancia di Simona. Mia sorella non sembra accorgersi del micio, le sue pupille ballano sulla carta da parati della nostra cameretta estiva. Sporge le braccia come a scacciare qualcuno, ma siamo solo noi e il gatto che ha battezzato così per sfottere la Bestia.

Le stringo le dita per riportarla qui. Mi scosta con rabbia; vorrei continuare a dormire, ma non mi va di perderla di vista. Le mattine dopo la Bestia ha degli scatti d’ira e delle crisi che la portano a muoversi sconnessa fino ad accasciarsi a terra e piangere. Oggi la Bestia non c’è, ma non credo più che basti questo a salvarla. Mia sorella smuove l’aria di fronte al ventilatore come ad accertarsi sia acceso e come se non si fosse accorta che il ronzio delle pale ci ha fatto da ninnananna. Ma chissà dov’è stata, chissà che ha sentito.

Fotografia scattata dall’autrice

Simona si alza di scatto e sbuffa. «Madonna che caldo.» La penombra della persiana rivela la sua tenuta estiva: canottiera e mutande. Richiudo gli occhi, la sento dirigersi in bagno. La privacy per mia sorella è un concetto relativo: lascia la porta spalancata, si lagna che dovremmo mettere un ventilatore anche là e fa pipì. A casa, con la Bestia, si serra in bagno con il chiavistello e gira solo con la tuta lunga. Quando siamo da soli, mia sorella semplicemente si denuda, e l’ho vista tale al punto che ne conosco ogni scanalatura, più di quanto dovrei. Credo che la Bestia sarebbe fiera di noi se ci accoppiassimo. Dobbiamo fargli una certa pena a non aver sporcato la nostra fratellanza con l’incesto.

Simona bestemmia per l’umidità.

«È il 14 agosto, Simo’, vuoi che soffi la tramontana?»

«Bleah, io odio il freddo.»

«Appunto.»

«E poi il Natale, le luci, tutte quelle canzoni assurde, quelle cene infinite con i parenti. Io odio i parenti. Prendi zia Adelaide. È inopportuna e acida, e continua a non rassegnarsi che a entrambi piace il cazzo e che nessuno dei due renderà nonno il giudice Dolenti.»

Berlinguer mi salta sul petto e mi impasta senza riguardi. Mi giro di schiena, miagola stizzito e ricomincia. Tu guarda la Madonna se devo alzarmi pure io perché si è alzata la padrona. La Bestia non voleva animali domestici, quindi Simona un pomeriggio è tornata con le buste della spesa e un rigonfiamento miagolante nel giubbotto. «Era tutto spelato.» E, per quanto sia, la Bestia le ha concesso di tenerlo.

Dal bagno giunge il rumore dello sciacquone, sento mia sorella spostarsi in cucina e trafficare con la moka. Ne conosco i movimenti a memoria: riempie la caldaia fino alla valvola, mette il caffè facendo cadere tutta la polvere sul tavolo, fa scattare il gas della vecchia stufa. A questo punto viene a cambiarsi.

«So cosa fare domani» dice. Si toglie la canotta, le sue tette mi ballano davanti mentre fruga tra i reggiseni.

«Noi?» sbadiglio.

Si butta addosso una sottoveste, fa una faccia serissima. «Vuoi mandarmi sola?»

«Dove andiamo?»

«A casa di un militare.» Spalanca la persiana. «Gay.»

Stavolta bestemmio io. «Mi prendi per il culo?»

Mia sorella ammicca, non vedeva l’ora. «Hai presente quel bono in divisa ieri al supermercato?»

Mi sono nascosto nella corsia dei cereali per non dovergli arrossire di fronte. «Vagamente.»

«Be’, ci ha invitati.»

Io non la sopporto. «Ci? Dove?»

«Me e te, in una villa di un colonnello amico suo.»

«E quando gli avresti parlato, scusa?»

«Mentre tu fuggivi e lui sceglieva le birre per domani.»

«Io non ti reggo.» Getto il cuscino via, la sorpasso con una spallata.

Simona mi tuba dietro tutta fiera, il gatto attaccato ai polpacci. «Non vuoi sapere che gli ho detto?» Le sbatto la porta del bagno in faccia. «Gli ho fatto: “Senti, a me e mio fratello piacciono gli stessi ragazzi e a me non piace litigare con mio fratello. Come pensi di risolverla?”» Manco la pipì in pace posso fare, Berlinguer miagola isterico al posto mio.

«E lui sai che mi ha risposto?» Esco, la ignoro andando a spegnere la caffettiera borbottante. «Be’, lì per lì è rimasto spiazzato, ma poi ha fatto quel sorriso, dai, quel sorrisetto lì che si fa per sottintendere altro, e mi ha chiesto chi fosse mio fratello.»

Verso il caffè e lo zucchero con una smorfia. «E tu mi hai indicato, giusto?»

«E certo.»

«Sia mai si fosse confuso con qualcun altro.»

Berlinguer si spansa sul tavolo della cucina, vicino la sedia della padrona. Simona si accascia con un sospiro da granduchessa offesa. «Guarda che si è leccato le labbra quando ti ha visto. Nel frattempo sono arrivati i suoi colleghi, madonna quanta carne di manzo tutta insieme.»

Recupero un pacco di biscotti. «Ci rinuncio.»

Simona infila la mano nella busta con la velocità di un rettile e si ritrae soddisfatta. Poi smette di essere con me. Mastica, composta, le dita di fronte la bocca; si concentra su un’anta della cucina scrostata da quando nessuno dei due aveva ancora i peli. Ma non sta vedendo il mobile. Potrei tessere i suoi pensieri con più accuratezza di una sarta, mi sembra di sentirla nel cervello, e vorrei prendere le forbici e recidere la tela in un punto tra la mia adolescenza e la sua.

Non sono credente, ma se trovassi un dio in ascolto gli chiederei di restituirmi la sorella svampita di due minuti fa.

Simona si riscuote, come punta da una spina. «Comunque andiamo, tanto la Bestia non tornerà per Ferragosto.»

Mi punta con quei suoi occhioni del cazzo. Non mi va di andare a nessuna festa, ma tanto so come finirà questa storia.

«Devo studiare per l’esame di penale.»

Lei mi rifila un sorrisetto dei suoi. «So io cosa devi dare, te, ma è più anale che penale.»

Do un sorso alla birra, è calda e amara. Questa sala puzza di vino a basso costo, birra caduta sui tappeti e sudore. Mia sorella aveva ragione, la festa è piena di motivi per restarci, fasciati in canottiere e camicie sbottonate da cui spuntano pettorali e promesse. Si strusciano. E io non aspettavo altro.

Mia sorella è a qualche metro da me, al centro della sala dove hanno improvvisato una pista da ballo. È avvinghiata al soldato del supermercato, che ha le mani sul suo culo. Va sempre così: lei organizza delle uscite “per farmi godere la vita e farmi conoscere il cazzo” e sempre lei finisce per prendere uno dei pochi da cui sia attratto. È già ubriaca, non abbiamo fatto in tempo a entrare che aveva un bicchiere di vino in mano e dopo essersi presentata, e avermi presentato, ne ha scolato un altro e un altro ancora.

Porto alla bocca la birra, una mano me la allontana e risalgo il bicipite fino agli occhi scuri del colonnello proprietario della villa. Mi passa un boccale colmo di spuma. «Tieni, quella si sarà scaldata.»

Getto uno sguardo a mia sorella. «Tu che ne sai?»

Gli spunta una fossetta sulla guancia, sorseggia dal mio bicchiere con gli occhi chiusi, si lecca il labbro e sono già perso. «Come immaginavo.»

Il colonnello accentua il sorriso, si sporge e sa di ambra e talco. Mi aspetto un bacio, invece mi sussurra qualcosa all’orecchio, qualcosa che cozza con mia sorella e che però è più convincente della responsabilità di starle dietro. Simona mi ha mollato subito, certa che sarei tornato indietro, certa che basti uno dei due per sorreggere l’altro. Certa che glielo devo per il mio silenzio quando di notte la Bestia abbassa la maniglia della nostra cameretta.

Mi lascio prendere la mano e condurre al piano di sopra, mi spinge in una stanza, il colonnello è quieto e sicuro. Mi volto verso la sala: il cervello mi comanda di girarmi a cercare Simona, la pancia mi inchioda dove sono; quando la festa sarà finita torneremo dalla Bestia e ci vestiremo di finzione e lascerò che la porti via di nuovo. Lui chiude la porta. «Possiamo stare qui?» La domanda suona stupida anche alle mie orecchie, non faccio in tempo a pentirmene che sono incollato al muro, la sua lingua è intrecciata alla mia e le sue dita armeggiano con la zip dei miei pantaloni. Mentre lui scende, avverto una distensione al petto, a metà tra la felicità e la paura. Per una volta Simona non è affar mio, per una volta non sono costretto a vederla né lei a vedere me, per una volta sarò solo io e non saremo più fratello e sorella.

Chiudo gli occhi, la certezza di averla persa.

Simona scivola con un suono stridulo sulle maioliche del bagno. Il rumore del suo stomaco è assordante, si contorce sul water e le spalle le si incassano quasi volessero uscirle e trasformarsi in ali di angelo.

L’abito è scosceso, forse si è rivestita in fretta – o l’hanno rivestita in fretta – e non ha le scarpe, i piedi anneriti contro il pavimento chiaro.

Non bestemmio nemmeno, le corro incontro e le scosto i capelli dalla guancia. Le dita incontrano stoppa e fluidi vischiosi, magari saliva, il suo stesso vomito o altro. Come mi sente scatta, tira fuori una forza strana, snuda i denti, lotta con me. «Vattene, lasciami!»

Non mi ribello, cerco di bloccarla prima che si faccia altro male. «Sono io, stai tranquilla.»

Lo schiaffo mi brucia il volto, stringo gli occhi in attesa del successivo, e di un altro e di un altro ancora. Riesco ad afferrarle i polsi, rimaniamo naso a naso a studiarci. Mia sorella inizia a riconoscermi, a poco a poco diventa morbida, si arrende. Si sporge verso il wc, un fiotto giallo e verde le schizza dalla bocca. La puzza di vomito mi stomaca, ma mai quanto quella di sesso. Anche io puzzo così ora.

Non le chiedo chi sia stato, ammesso che qualcuno se ne sia approfittato o abbia fatto tutto lei.

Simona si tocca la fronte, il suo corpo si abbandona al mio e cadiamo tutti e due schiena alla vasca. A casa succede sempre, quando la Bestia esce e mi permette di recuperarla. Mia sorella mi poggia la testa sulla spalla, rantola. È scossa da tremori di cui non so nemmeno se è cosciente. Le pulisco la faccia. Si irrigidisce appena la sfioro, la mente compirà a ripetizione lo sforzo di identificarmi. «Hai le stesse dita di nostro padre» dice.

Non la contraddico più, la ricopro soltanto, non voglio che si veda neanche lei. «Almeno avete usato il preservativo?»

Mia sorella non risponde, persa in qualcosa in cui ha smesso di farmi accedere. I suoi occhioni mi trovano presto. «È tutta colpa tua. Perché mi abbandoni? Perché lo lasci fare? Perché non mi porti via?» Prova a colpirmi ancora, ricade su sé stessa e si abbraccia le ginocchia. I capelli le ricascano sulle gambe a mo’ di mantello.

«Ce la fai? Ti porto a casa.»

«Sparisci!» Ma allunga solo un braccio verso il vuoto, o verso di me, e mi faccio incontrare. Mi afferra e il blocco al petto si scioglie, sta tornando da me. La tiro su, barcolla, si lamenta.

«Andiamo.»

Fuori non c’è nessuno. Dovrei incazzarmi, spaccare la faccia al primo che passa, vendicarla. So che dovrei. Ma rimando da anni la vendetta contro la Bestia e dubito che questi ragazzi abbiano violentato mia sorella. Simona adora ficcarsi in situazioni del genere, e poi sta male perché si ricorda di quando la violenta nostro padre.

Non servirebbe a niente prendermela con chi è stata stanotte, dovevo farle giustizia anni fa e non fermarmi al primo schiaffo. Continuerà lei e continuerà la Bestia, e nessuno crederà a noi. È molto più comodo credere al carnefice che alla vittima, e noi abbiamo l’aggravante che il nostro aguzzino è un giudice della Cassazione.

Tuttavia, forse anche queste sono scuse che seguito a raccontarmi per non reagire. Basterebbe poco, in fondo. Che ci credano o no, l’importante è salvarci.

La faccio sedere in macchina, se ne sta buona con gli occhi chiusi e non capisco se è con me.

Fotografia scattata dall’autrice

A casa Berlinguer ci saluta con un miagolio, scorta Simona in bagno facendole le fusa. Mia sorella prova a ruotare i vecchi rubinetti di acqua calda e fredda della vasca, lo faccio io al posto suo. «Aspetta, ti prendo dei panni puliti.» Non faccio in tempo, mentre frugo nel suo cassetto la chiave del bagno gira nella toppa. Berlinguer è rimasto dentro con lei, le sue fusa smettono e partono i singhiozzi, come in un’orchestra diretta da un maestro ubriaco. Mi siedo sul letto, lo sfregare di bagnoschiuma e pelle oltrepassa la porta, lo avverto sul mio corpo e mi viene da grattarmi. Aspetto che la serratura scatti di nuovo. Non viene da me, non lo fa mai subito dopo.

Si dirige in cucina e non ho di nuovo bisogno di vederla. Fruga nel cassetto delle medicine, fa tintinnare il bicchiere mentre si versa l’acqua, butta giù tutto. A quel punto torna da me. Nessuno dei due accende la luce, ci osserviamo nella penombra.

«È venuta la Bestia» dice, e non è più una domanda.

Tuttavia stasera ho una risposta nuova. Rivoglio mia sorella. Quella sicura di sé, quella insopportabile. Rivoglio mia sorella pazza perché è in quella finta follia che siamo noi.

Tira su con il naso, si scosta una ciocca dietro l’orecchio.

«Ho sete. Usciamo» dico mentre accendo la luce. Le chiavi dell’auto tra le mie dita attirano la sua attenzione. Riporta gli occhioni svampiti su di me e socchiude la bocca per dire qualcosa, ma le manca il coraggio. A me stavolta no. Tendo la mano verso lei.

Laura Calagna Bambini

Classe ‘95, è nata e vive ai piedi del promontorio del Circeo. Non potendo diventare avvocato del Diavolo, dopo la laurea in Giurisprudenza è diventata HR Recruiter. Ascolta solo la musica classica e il rock psichedelico e ha una passione smodata per gli animali ridicoli. Suoi racconti sono apparsi su diverse riviste e antologie. Frequenta la Scuola di Itaca Colonia Creativa, e nel 2023 ha vinto il Premio Speciale Under30 del Torneo IoScrittore. A volte si prende pure sul serio.

Mail: laurabambini29@gmail.com

Instagram: @libridimare

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