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ULTIMO TANGO A BANGKOK
Andrea Belushi 

Io e Lucy Von K siamo andati in Thailandia per lasciarci. Che minotauri!

Solitamente le coppiette salgono su voli intercontinentali per viaggi di nozze, rinvigorire una relazione o farsi una cazzo di vacanza. Io e Lucy Von K siamo andati in Siam per lasciarci. In  diciotto giorni siamo riusciti a esplorare gran parte del nord della Thailandia, oziato in un’isolaccia chiamata Koh Samet e quindi Bangkok. Gli ultimi tre giorni li abbiamo passati nella capitale alloggiando in un hotel a due passi da Khao San Road. Venivamo da una 14 ore di treno Chiang Mai – Bangkok in cui abbiamo preso coscienza dell’esistenza dell’anima perché a fine viaggio siam riusciti a sentirne la puzza. Fuori dalla stazione di Bangkok c’erano più taxi che molecole d’ossigeno. Ne prendiamo uno al volo che, in meno di 20 minuti, ci porta all’albergo.

Saliamo in stanza, ci facciamo una doccia al fosforo bianco e decidiamo di uscire col proposito di cenare in un bel ristorante presso Khao San Road. Lucy Von K è stanchissima, trascina le gambe e manifesta platealmente l’intenzione di tornare in stanza dopo cena. Pure io sono stravolto ma appena imbocco Khao San Road sento chiaramente i demoni di Bangkok che accordano le pelli dei loro tremendi tamburi. Lucy Von K é talmente stravolta che si fionda sul tavolinetto del primo bar all’aperto che becchiamo. Lei ordina delle tapas mentre io mi limito a tracannare svariate birrette Chang che mi fan passare fame e stanchezza stendendo il subdolo red carpet pronto ad accogliere un vodka-tonic.

Seduto al tavolo di fronte al nostro c’è un giovane ragazzo biondo che ci fissa da almeno 15 minuti e ogni tanto scrive qualcosa su un taccuino. Lucy Von K si alza per andare in bagno e improvvisamente lui si fionda al nostro tavolo portando con sé una sedia. Esordisce con un “ti dispiace se mi unisco a voi? Vi osservo da un po’ e ho preso qualche appunto, ti da noia?“.Gli dico che è libero di fare il cazzo che gli pare e piace. Mi domanda se sono interessato a sapere cosa ha scritto di noi. Gli rispondo di no ma gli domando come si chiama e soprattutto cosa vuole da bere: “Mi chiamo Klaus e gradirei un long island“. Lucy Von K torna dal bagno e senza cagarsi di pezza il biondo mi dice: “io sto per crollare, se non ti dispiace mi avvio verso l’albergo. Se torni in condizioni pietose per favore non svegliarmi. Se decidi di dormire altrove tanto meglio!”. Klaus strizza gli occhi e mi fa: “se ho ben capito la tua ragazza è tornata in albergo… te che programmi hai?“. Gli dico che ho ricevuto la chiamata di Bangkok dalla quale sottrarsi è tanto impossibile quanto inutile. Klaus ride, ordina un long island pure per me e inizia a illustrarmi il suo piano per la serata:”io sono qui da quasi due settimane. Ho da poco compiuto 20 anni e mi sono regalato un giro per il sud-est asiatico ma per qualche motivo non riesco ad andarmene da Bangkok. Vengo da Leverkusen e non ho alcuna intenzione di tornarci. Comunque… ti va di venire con me a un party sul roofgarden di un hotel di stralusso?“. I demoni iniziano a suonare i tamburi; io e Klaus ci scambiamo un’occhiata luciferina un po’ Thelma e Louise, un po’ Molotov – Ribbentropp. Ci alziamo, andiamo a pagare e mi fa: “prima di andare al party ti va se ci facciamo di palloncini?“. Pur non sapendo di cosa cazzo stesse parlando gli dico “ok crucco, sono nelle tue mani“.

Nel frattempo Khao San Road inizia a sbocciare in un tripudio di luci, musica orrenda, ladyboys schiamazzanti, prostitute piroettanti, turisti ubriachi e anziane donne con vassoi pieni di scorpioni, cavallette e bachi da seta. Klaus all’improvviso si ferma e mi chiede di aspettarlo qualche minuto perché deve andare a parlare con un tizio. Mi da 180 bat (circa 5 euro) e mi dice di ordinare altri due drink.

Vado al bancone e dopo mezzo minuto la barista mi porge due secchielli da spiaggia pieni di long island senza ghiaccio. Un litro l’uno per la modica cifra di 5 euro. Klaus torna sfregandosi le mani e ghigna qualcosa come: “ok, possiamo entrare… stammi dietro!”. Lo seguo all’interno di un vicolo, poi dentro un garage in cui un nano thailandese vestito da rapper americano anni 90 apre una botola e ci invita a scendere una ripidissima quanto claudicante scalinata.

Mi ritrovo in una stanza illuminata da led viola e verde acido che puzza di fumo misto a olio di motore spalmato su peli pubici sudati. Klaus mi conduce a un banchetto sul quale c’è una bombola e dei palloncini. “Vuoi provare? no no, devi!“. Il nano si piazza dietro la bombola, gonfia un palloncino, me lo porge e mi dà istruzioni su come usarlo. Klaus interviene dicendo: “ti faccio vedere io, osserva bene!“. Il crucco piazza l’estremità del palloncino all’interno delle sue labbra e se lo sgonfia in gola respirandolo tutto. Dopo mezzo secondo inizia a ridere, barcollare, lacrimare e infine si getta a terra per poi rialzarsi quasi immediatamente urlando al nano: “fanne un altro per lui, dai dai!“. Prendo sto palloncino e senza esitare mi sparo tutto il gas dentro le fauci; inizio a ridere in maniera convulsiva, poi sopraggiungono vertigini, nausea e alla fine mi ritrovo in terra. L’effetto sarà durato meno di 10 secondi ma abbastanza per posizionare sta stronzata sul podio dei dispiaceri. Klaus vuole rifarlo, pare gli piaccia da matti. Lo assecondo ma gli dico anche che io ne ho abbastanza. Crolla di nuovo a terra e appena si rialza se ne fa gonfiare un altro ma quest’ultimo gli scoppia in mano.

Torniamo in strada, Klaus chiama un taxi che in meno di 20 minuti ci porta davanti a un grattacielo di almeno settanta piani. All’entrata ci sono quattro guardie armate che appena vedono Klaus lo salutano chinando il capo. Lui gli dice qualcosa tipo: “tranquilli, lui è mio ospite“. Prendiamo l’ascensore per salire all’ultimo piano e prima di arrivare Klaus mi fa: “ora prenderemo l’altro ascensore, quello privato. Arrivati li dovrai necessariamente consegnare il telefono a una delle guardie”. Tira fuori una card placcata d’oro e sghignazzando aggiunge: “l’ascensore privato lo può prendere solo chi ha questa card”. Il litro di long island sta salendo prepotentemente e quindi gli chiedo: “Senti Klaus, puoi anche non rispondere a questa domanda ma… tu chi cazzo sei?“. Il crucco fa un lungo respiro e dice: “prima ti ho detto una stronzata… non mi son regalato una vacanza in sud-est asiatico. Mio padre è uno dei dirigenti della Bayer e mi ha inviato a Bangkok per supervisionare una delle filiali“.

Arriviamo a destinazione e iniziamo a percorrere un lungo corridoio che ci porta davanti al secondo ascensore. Il rampollo farmaceutico sfodera la gold card, entriamo e in meno di 5 secondi mi ritrovo davanti a una roba simile a uno stargate con rose nere rampicanti intrecciate intorno a due colonne corinzie. Ad aspettarci ci sono due guardie che ci chiedono di lasciare i telefoni all’interno di due distinte scatole. Chiedono se abbiamo dispositivi, armi, lame e altra roba. Senza perquisirci, ci scortano all’interno di una sala grande come due campi da tennis e in quel preciso momento ai tamburi si uniscono gong, tuoni, il Napoli che vince la Champions League, sbarchi in Normandia intrappolati nell’eterno ritorno ed esplosioni di supernove.

Lo stanzone è pieno di lampadari al neon che ruotano creando spirali coloratissime, un dj vestito da elefante che spara house music della peggior specie, tavoli a perdita d’occhio con sopra giovani ragazze che sputano palline dalla fica, si fanno mettere i soldi tra le chiappe e servono piste di cocaina su grossi vassoi d’argento. Gente che scopa sui divani, sopra ai tavoli, appoggiati al muro, per terra. Bottiglie di champagne, vodke pregiate, whiskey impossibili. Oggettistica sessuale sparsa per tutta la stanza, puzza di secrezioni, urla disumane, un toro meccanico con un grosso dildo al centro della sella.

Klaus mi porta a un tavolo sul quale è seduta una bellissima ragazza thailandese che tra le mani ha una cosa simile alla ruota della fortuna e su ogni spicchio c’è scritto qualcosa in caratteri thailandesi. La ragazza mi invita a girare la ruota ma come al solito Bayer-Klaus mi passa avanti. Esce “bottiglia”, è lui stesso a urlarmelo in faccia a braccia alzate come se avesse fatto un gol all’ultimo secondo.  La ragazza posa la ruota, prende una boccia di champagne, la scuote ben bene, se la mette nella fica e riesce a stapparla con un assurdo gioco muscolare. Applausi scroscianti e cori da stadio facevano da colonna sonora a quella vagina che imbarcava e sputava spuma senza pietà. Tocca a me. Giro la ruota ed esce “ombelico”. La ragazza si stende, si riempie l’ombelico di cocaina e mi passa una piccola cannuccia d’acciaio. Klaus mi sussurra all’orecchio: “qui vige una sola regola, non puoi tirarti indietro davanti a nulla“. Afferro la cannuccia, mi piego sul ventre della ragazza e tiro su tutta la cocaina, anche quella che straborda dal suo ombelico. Ancora applausi, cori da stadio, urla scimmiesche e disumane.

La cocaina annulla immediatamente l’effetto dell’alcol donandomi equilibrio, concentrazione e consapevolezza. Afferro una bottiglia di vodka, riempio un grosso bicchiere e decido di curiosare gironzolando a caso per lo stanzone. A un certo punto mi ritrovo davanti Klaus con in mano un piccolo salsiere zeppo di cristalli. Ne afferra una manciata e me li mette dentro al drink. Gli chiedo cos’è e il crucco risponde: “questa è mdma di qualità superiore“. Tracanno il drink, esco sul balcone per fumare una sigaretta, accompagnato da una guardia armata che poco prima di varcare la soglia mi dice: “se mi dai 1500 bat ti faccio sparare un colpo in aria“. Senza pensarci due volte tiro fuori 2000 bat (circa 55 euro), glieli metto in mano chiedendogli se per quella cifra posso spararne due. L’omone approva; mi porge una pistola Luger Parabellum color grigio scuro, punto l’arma in aria e sparo due colpi in rapida successione. Gli restituisco l’arma, vado ad appoggiarmi alla ringhiera del balcone per fumare e godermi la città dal cielo.

Da lassù Bangkok sembra un grosso pachiderma in fase rem che rantola, un cimitero carnevalesco di preghiere fiammeggianti, il letargo oppiaceo e cacofonico di un demone-lucciola che sogna una bislacca apocalisse. L’mdma si fa largo senza chieder permesso ma con ermetico bon ton. Rientro nel salone e vedo Klaus con gli occhi fuori dalle orbite tutto preso nel penetrare a pecorina una ragazza appoggiata a uno dei tavoli. L’effetto dell’mdma inizia a infastidirmi e quindi decido di sniffare un altro po’ di coca per riprendermi. Fermo una ragazza che gira per i tavoli con un grosso vassoio pieno di piste già acchittate e ne tiro su una bella grossa. In meno di due minuti riacquisto consapevolezza e concentrazione.

Torno in balcone per fumare un’altra sigaretta. Mi si avvicina una giovane ragazza Thailandese di una bellezza spiazzante che profuma di fiori di ciliegio, zafferano e muschio etereo. Due occhi neri come il baratro dove dormono le seppie mai nate, labbra fuoriuscite dalla disintegrazione del masso di Sisifo. L’astro più luminoso e fatale della galassia Khmer. Si presenta: “ciao io sono Sanya. Fammi indovinare… sei greco, vero?” Rispondo che mi sento più fenicio che ellenico ma sono nato in Italia. Accenna un timido sorriso, strizza gli occhietti e nel preciso momento in cui abbassa lo sguardo mi crocifigge l’ipotalamo. Le chiedo cosa diavolo ci fa una principessa Khmer a un raduno di ricchi stronzi. Sanya scoppia a ridere e dice: “questo party l’ho organizzato io. Per caso sei un amico di Klaus? Te lo chiedo perché vi ho visti entrare insieme e sicuramente ti avrà già parlato del pezzo forte della serata; una chicca che riservo esclusivamente a lui e ai i suoi amici”. Sanya mi prende sottobraccio e avverto distintamente l’impennata dinamica di tutte le percussioni a cui si aggiungono cori russi, canti mongoli, ghigliottine balbuzienti e limbici singulti armonizzati su scale indecifrabili. La Khmer mi conduce dall’altra parte dello stanzone e ci addentriamo in un lungo corridoio che ci porta davanti a un grosso portone. Sanya prima di entrare mi dice: “sei pronto per il non plus ultra del party?“. In soli due secondi ho scritto, diretto, e prodotto il film sull’idea che mi sono fatto del piatto forte della serata:

Sanya che spalanca il portone, mi prende per mano conducendomi all’interno di quella stanza adibita a regale alcova Khmer e accende 9000 candele col solo triplo batter di tacchi. Mi mostra tutti gli unguenti rari in suo possesso descrivendone proprietà e benefici per poi invitarmi a selezionarne soltanto tre. Mi esorta a farlo con estrema saggezza poiché ciò andrà a influire in maniera totalitaria sulle antiche pratiche sessuali Khmer di cui Sanya è l’ultima custode universale designata forever and ever.

Sanya inizia a farmi dei grattini sulla schiena, mi desto dal film e mi chiede: “Hey, tutto ok? Possiamo entrare?“. Dalla bocca mi esce un “si” talmente deciso che lo sento viaggiare attraverso l’esofago per poi fluttuare all’interno dello stomaco, fiondarsi nelle viscere col solo scopo di prendere la rincorsa e tagliare il traguardo situato alle colonne d’Ercole dell’occhio cieco della cappella. Sanya apre il portone e di colpo tutti i demoni smettono di suonare; i tamburi cadono in terra, i gong si squagliano, le corde vocali dei coristi diventano carcinomi arrugginiti e davanti ai miei occhi si spalanca l’orrore:la stanza altro non è che un bagno termale in stile romano con una grossa piscina posta al centro. All’interno della vasca un uomo sulla settantina spinge il suo ripugnante uccello nella bocca di una bambina thailandese che avrà avuto si e no 8 o 9 anni. A sinistra della piscina ci sono altre cinque bimbe completamente nude che siedono composte e silenti su una panca di legno. L’uomo si volta e dopo aver incrociato il mio sguardo, ansimando come un peto in rigor mortis dice: “ragazzo, non hai che l’imbarazzo della scelta“. Quel figlio della merda non solo è italiano ma somiglia a un Licio Gelli uscito da un’economica stampante 3D; occhi acquosi grigio cinereo con un inquietante taglio alla Heydrich, pizzetto brizzolato da carabiniere in pensione, portamento da bestiame della miseria. Vorrei ucciderlo e trascinare il suo cadavere lungo le strade di Bangkok fino all’alba per poi gettarlo nelle putride acque del Chao Phraya. La bambina nella vasca inizia a tossire e quel mostro le afferra la testolina e inizia a spingerla contro il suo lurido uccello.

Non ce la faccio più. Avverto chiaramente un’inquietudine graffiante che crea solchi, faglie e crateri all’interno del lobo frontale, sede dell’autocontrollo. Sto per esplodere ma inizio a meditare sul fatto che potrei non uscire vivo da lì. Klaus è il futuro dirigente di una delle più grandi case farmaceutiche del pianeta e tutti quegli stronzi che sghignazzano in quella grossa sala di sicuro non occupano posizioni meno prestigiose. Mi volto verso Sanja e sorridendo le dico: “ti dispiace se torno in sala a cercare Klaus? È stato lui a portarmi qui e desidero condividere questa succulenta portata in sua compagnia“. Non so come ho fatto a pronunciare queste parole senza strozzarmi nel vomito ma ottengo l’approvazione di quel demone Khmer di Sanja e quindi mi incammino velocemente verso il salone.

Klaus sta giocando a yahtzee (una sorta di poker coi dadi) seduto a un tavolo insieme ad altri mostri. Mi dirigo verso di lui assumendo un’espressione sofferente e gli chiedo se può assentarsi un paio di minuti perché ho bisogno di parlargli. Andiamo verso i bagni e afferrandolo per le spalle gli dico: “Non mi sento bene e sono pure preoccupato per Lucy… portami all’entrata così do uno sguardo veloce ai messaggi“. Klaus ordina a una delle guardie di portarmi il telefono. Sono le 3, nessun messaggio da Lucy Von K ma devo assolutamente fuggire da questa merda. Mi rivolgo a Klaus dicendo: “amico mio, devo correre in albergo perché Lucy non si sente bene… ha provato a chiamarmi più di dieci volte e i messaggi che ho letto sono tutt’altro che piacevoli“. Klaus sbuffa e prima di chiamare l’ascensore con la sua merdosa gold card mi dà il suo biglietto da visita dicendo: “domani sera sentiamoci che Sanya organizza un altro party fuori città. Mentre scendi ti chiamo un taxi, offro io“.

Monto nel primo ascensore, mi fiondo nel secondo e finalmente esco dall’antro fallico del peggior mostro che ho affrontato in vita mia. Il taxi arriva dopo pochi minuti ma decido di non farmi lasciare davanti all’albergo bensì a Khao San Road. Ho bisogno di sedermi, bere qualcosa di forte e respirare. Mi siedo fuori dal primo bar che incontro, ordino un secchiello da spiaggia di long island e inizio a berlo fumando una sigaretta dietro l’altra.

Sono le 3.30 di un sabato siamese e Khao San Road a quest’ora raggiunge il suo merdoso apice: un boulevard lungo 400 metri in cui tutta la peggiore musica della storia si dà appuntamento per celebrare una sorta di “Cena Trimalchionis” portata a estreme conseguenze. Finisco il mio litro di long island e dopo l’ultimo sorso mi accorgo che l’ho bevuto col ghiaccio. Esplodo in un bestemmione epico che attira l’attenzione della cameriera che viene verso di me dicendo: “Tutto bene?“. Le chiedo se per caso il ghiaccio del drink proviene dall’acqua del rubinetto del bar. Risponde con un “si” tonante che mi teletrasporta direttamente all’interno del tribunale di Norimberga e mi ritrovo seduto accanto a un sudatissimo Göring che mi sorride con una capsula di cianuro tra i denti e con stridente voce puerile mi dice: “sei nella merda“.

Decido di raschiare a fondo il mio baratro alla disperata ricerca di qualche traccia di coraggio e quindi mi butto nella bolgia del boulevard. Dopo qualche metro mi ferma un’anziana donna che trasporta un vassoio pieno di insetti fritti. Acquisto qualche baco da seta, una roba simile a una cavalletta e un paio di scorpioni. Ormai sono fottuto, rassegnato e in balia di un’arpa nichilista che suona grottesche marce funebri; mangio i vermi, la cavalletta ma butto via gli scorpioni. Riesco a uscire da Khao San Road e dopo qualche minuto sono davanti all’albergo. Entro in ascensore e la sentenza dello specchio è a dir poco spietata: ho gli occhi come il buco del culo di Cerbero, con la mia pelle ci puoi fare un papiro destinato ad accogliere le poesie di Maurizio Gasparri, in bocca ho la coscienza di Kesselring e degli altri boia di Marzabotto. Consapevole che ogni tentativo di dormire sarebbe risultato vano, schiaccio il pulsante più in alto e dopo pochi secondi sono già sul terrazzone in cima all’hotel a fracassarmi di sigarette.

L’alba giunge sotto forma di avido avvoltoio-stercorario dalle ali di paraffina tutto preso a fagocitare gli ultimi demoni notturni di Bangkok.

Andrea Belushi

Andrea Tocci (in arte Andrea Belushi), nato a Foligno (PG) il 16 settembre 1984. Di Domenica mattina, sotto il segno dei postumi. Cantautore presso tre band: Wonder Vincent (band Stoner – rock sciolta ma con 2 album registrati), Gattuzan (band Lo-fi psych pop con un solo album registrato ma contenente ben 32 canzoni), Greasy Kingdom (psych-pop con un album uscito nel 2023). Ho scritto poesie dai 18 ai 21 anni, poi mi son dedicato principalmente alla musica girando Italia ed Europa per anni. Ho ricominciato a scrivere nel 2023 buttandomi perlopiù su racconti brevi e altra robaccia. 

Instagram: @andrea_belushi

Facebook: Andrea Tocci 

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