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LA SANTA
Vincenzo Liguori

Un metro per due. Circa tre di altezza. Luci forti. Musica assordante. Il vetro pulitissimo sembra non ci sia. La musica lo fa vibrare. Fa caldo anche se fuori è inverno. Vedo neve sui marciapiedi, cappotti, nasi rossi e fiato acqueo sbuffare dalle bocche dei passanti. Io mi muovo senza scatti. Ritmicamente, ritmicamente, ritmicamente. Si può pensare che balli, ma solo di rimando, per riflesso. Non seguo il battito pulsante della musica. Mi muovo con moto periodico uniforme.

La minigonna mi sta benissimo. Cortissima come piace a me. Le gambe lucide, tirate di crema idratante. I tacchi da vertigine. La magliettina sul seno turgido e insolente. La musica adesso è ancora più forte. Ma io la musica manco la sento. Eppure l’hanno messa per me. Forse non soltanto per me, ma intanto sono io che mi ci muovo dentro. Mi hanno detto di ballare e io gli faccio credere di ballare, in un metro per due. Circa tre di altezza. Luci forti. Caldo.

Ovviamente mi pagano per stare qui. Io giustifico questo schifo di musica. «Non più di due», gli ho detto. «Oltre le due ore non posso andare, ho bisogno di riposarmi». 

«Perché, cos’hai nelle gambe?»

«Non certo i soldi che vi scucio». Non hanno capito e sembravano sinceri. 

La musica e il caldo mi sfiancano. Ma il mio corpo vale moneta contante che esigo in anticipo. Immediatamente. Il mio corpo ha mercato, bella gente! E vale molto di più della vostra musica del cazzo, dei vostri maglioni di cashmere, delle mutande griffate e dei calzoni di velluto a coste piegati sulle mensole. Avevo un’idea precisa del mio corpo e mi sono fatta a mia immagine e somiglianza non riflessa. La mia figura attraversa il vetro insieme alla mia anima androgina. Immacolata giunge sulla strada affollata. La mia carne è pura luce, bagliori di fotoni. Sono un corpo astrale, stella, pianeta, il puntino luminoso nel vostro universo di penosa oscurità. Del resto se qui arriva gente è anche merito mio. Se comprano, se sono soddisfatti e felici come bambini è anche grazie a me. Questo fascio di carne è un capolavoro di chirurgia e di economia.

Al di là della vetrina si fermano a gruppi. Tra un po’ non si potrà più camminare. Sul marciapiede ci si fa largo a fatica. Qualcuno si fa scattare foto e vuole me come sfondo. Mi fermo un istante per assecondare la messa a fuoco dei loro obiettivi. Sorrido giusto il tempo di una foto, poi riprendo a muovermi. Ritmicamente, ritmicamente, ritmicamente. È umanità d’ogni genere quella qui davanti. Sfatta e disgustosa. Non gli sembra vero di potere avere una foto con me che, da dietro al vetro, perfetta come una madonna, gli sorrido. Soltanto i bambini si spaventano, hanno paura e piangono. Per loro i manichini non si muovono. Ma cristosanto io non sono un manichino, e neppure una bambola. Nessuna bambola si muove come me in una gabbia che ha poco più delle dimensioni di una bara.

Il negozio si riempie di gente. Del resto è ciò che volevano gli stronzi che mi pagano. La musica puttana ha il suo effetto di richiamo. E anche io. La mia mini, le mie gambe lucide, il seno che sussulta sotto la maglia aderente.

Nessuno ha ancora scritto cose sensate sul corpo. Nemmeno il chirurgo che mi ha operato capiva di cosa parlavo. A lui interessavano soltanto i miei soldi. Della mia sensibilità estetica se ne sbatteva i coglioni, il pezzo di merda. Poi ho capito che sul tavolo operatorio non c’è spazio per l’etica. Sotto le lampade scialitiche non si sezionano concetti ma carne lacera e organi malati. Il bene, perpetuo cruccio della filosofia, con la medicina si è trasformato in salute, e con la scusa della salute – riflettevo, – quei pagliacci dei medici ci tengono per le palle. «Lasciami solo il cazzo», gli ho detto, «tutto il resto via. Voglio essere perfetta come un’opera d’arte. Al dopo ci penso io. Questo corpo è la mia casa, in esso mi amplifico e mi espando. Io sono pluralità e moltitudine».

Ora è arrivata la polizia. Il traffico è in tilt. La gente accalcata oltre il vetro è diventata un muro. I proprietari del negozio sono quasi all’orgasmo. Le vendite crescono rapidamente e tra un po’ le scorte di merce saranno prossime all’esaurimento. La folla ha occhi soltanto per me. Tutti invocano i miei nomi, quei nomi che chiamano per me da chi sa dove. Li gridano. Vorrebbero toccarmi, prendermi, sfinirmi, fottermi. Donne a gambe serrate, coi ginocchi che si toccano, hanno facce inebetite dal piacere. Gli uomini strofinano la mano sui pantaloni là dove il loro desiderio prende forma ed evidenza. E intanto le guardie faticano a farsi largo e a ripristinare l’ordine. La confusione dev’essere assordante. Ma io sento soltanto questa musica di merda che scuote appena i miei nervi e si schianta contro le ridotte dimensioni di questo abbagliante sepolcro.

Qualcuno scrive il suo numero di telefono sul vetro della mia gabbia. Non vuole essere dimenticato. O non vuole dimenticare l’estasi che gli procuro. Altri lasciano oggetti d’ogni tipo ai bordi del marciapiede. Sono i loro ex voto, il loro riconoscente modo di ripagare le emozioni che gli dono. Adesso questo posto è un santuario, una cripta, un’edicola votiva.

Il fenotipo che incarno è uno schianto di femmina. Il mio corpo non è un concetto. Come potrei muovere un concetto in questo casino, sotto le luci accecanti. Il mio corpo è un mondo di corpi, signori. Ecce homines! Ecco tutti i corpi del mondo messi insieme, uno dentro l’altro, senza distinzione. In fondo stare chiusa qui ha il vantaggio di non disperderli. Cosa credete che io sia, Lazzaro di Betania sottratto alla morte, resuscitato e in attesa di morire nuovamente? Io sono rinata centinaia di volte. La Santissima Trinità impallidisce al mio cospetto. Io sono l’incarnazione del molteplice. Hic sunt enim corpora mea.

Uomini disprezzate la riproduzione perché non saranno i vostri figli a rendervi numerosi come la stirpe di Abramo. Non sarà la vostra progenie che vi assomiglierà. Dirottate il vostro seme oltre i fecondi canali che la natura vi impone e plasmate la vostra carne con trattamenti cosmetici. Costruitevi una corazza di soda e levigata epidermide.

Gli entusiasti ammiratori dell’acquisto sfrenato e compulsivo sono ancora tutti qui. Tutti qui in festosa contemplazione. Un cieco ha riacquistato la vista, uno storpio ha ripreso a camminare. Anche i bambini hanno smesso di piangere e la neve si sta sciogliendo sotto un sole nuovo. L’emorroissa che passando ha sfiorato con un dito il vetro che la separa da me, ha smesso di sanguinare. La sua pelle emaciata ha ripreso colore. L’aria è ancora satura di musica e la mia pubblica esposizione non è finita. Un metro per due. Circa tre di altezza. Luci forti. Musica assordante. Per un’ora ancora dovrò fingere di ballare, sorridere nelle foto e muovermi senza scatti. Ritmicamente, ritmicamente, ritmicamente.

Illustrazione di Adele Bilotta @adeliocompresso
Vincenzo Liguori

Mi occupo esclusivamente, e senza alcun criterio di priorità, di musica e di filosofia. E proprio di filosofia scrivo periodicamente per la rivista online Pangea diretta da Davide Brullo. Altri articoli dello stesso genere sono apparsi sulle riviste Konsequenz, Critica Impura, L’Intellettuale dissidente e per la casa editrice Polimnia Digital Editions. Miei racconti, invece, sono stati pubblicati nelle raccolte Apocalitticamente scorretto (Villaggio Maori Edizioni, 2015), Una cosa che comincia per L (Bookmark Literary Agency), e dalle riviste letterarie online inutile, Cadillac, CrapulaClub, Enne2. Veleno, romanzo ancora inedito, ha ricevuto la segnalazione del Comitato di lettura alla XXXIII edizione del Premio Italo Calvino (Torino, luglio 2020). A gennaio 2023 è risultato tra i tre romanzi finalisti alla X edizione del Premio Letterario Zeno e, l’anno successivo, è stato finalista alla XXIII edizione del Premio InediTO – Colline di Torino. Ma, a tutt’oggi, rimane ancora ignorato e privo di qualsiasi interesse editoriale.

Mail: 11liguori@gmail.com

Sito web: www.vincenzoliguori.net

2 risposte

  1. Avatar Vincenzo Liguori
    Vincenzo Liguori

    La santa, qui, fa un certo effetto.
    E io sono un po’ frastornato come la figura nella bella e azzeccatissima illustrazione di Adele “Adelio” Bilotta.

    Grazie, Scomoda.

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  2. […] Leggi su Scomoda Rivista […]

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