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SENZA CONSEGUENZE
Simonetta Gallucci

Si rigira la fede attorno al dito, indeciso se sfilarsela o meno. 

Da quando si è sposato, quattro anni fa, non l’ha mai tolta. Questa è un’inesattezza, ma si sa quanto sia difficile essere sinceri, persino quando l’unico pubblico presente è l’immagine di noi riflessa allo specchio; a maggior ragione se si tratta di nascondere, o meglio omettere, dettagli che ci hanno fatto vergognare e che, al solo ricordo, ci imporporano le guance. Meglio fingere, quindi, che quegli attimi di debolezza non siano mai avvenuti, e tornare a guardarsi con fierezza.

Così lui, ancora fermo a cincischiare con l’anello, ancora lì a ripetere di non averlo mai tolto prima di questo momento, ancora impegnato a dimenticarsi di quella serata di giugno insolitamente fresca, quando aveva preso l’unica decisione sembratagli possibile per mantenere l’impalcatura di rettitudine che si era costruito negli anni e che lo rendeva una persona, vista da fuori, solida. 

Glielo aveva confermato anche lei, all’inizio, quando la casualità di una birretta post-lavoro era diventata la consuetudine del venerdì sera. 

– Sai cosa? – gli aveva detto. – Tu sembri una persona solida – aveva continuato, facendo una pausa tra il sostantivo e l’aggettivo, e accompagnando quest’ultimo con un movimento delle mani, come a voler ricostruire la consistenza della parola. 

– Lo sono – aveva replicato tronfio lui. 

– Lo sono anch’io, ma non lo sembro – aveva ribattuto lei, e gli indici disegnavano cerchi ai due lati della testa, all’altezza delle tempie. – Sembro sempre un po’ svalvolata. – 

– A me non dai quest’impressione. – 

– Chi sta parlando? Tu o la birra? – 

Avevano mantenuto il profilo basso, il tono scanzonato, anche quando la birretta si era trasformata in un aperitivo e poi in una cena; anche quando i vestiti di lei, complice l’arrivo dell’estate, si erano fatti più corti e scollati e gli apprezzamenti di lui erano diventati espliciti. La seduzione, da svago, si era trasformata in intento. 

A volersi mettere nella camicia bianca di lui, però, la si poteva ancora definire una candida evasione: entrambi sembravano non chiedere di più. 

Il suo matrimonio da mesi era stato derubricato a una piatta convivenza tra coinquilini che non si stanno nemmeno troppo simpatici: si tollerano, imbrigliati da un conto e un mutuo cointestati. E dall’impegno preso, avrebbe aggiunto lui, prima di comporre un messaggio sbrigativo, un “faccio tardi” generico e andare in deroga alle incombenze famigliari. 

E poi, ecco, era arrivata quella sera. 

Lei indossava un vestito nero con lo scollo largo, da cui spuntava una spalla ancora lattea: – Non mi abbronzo mai – aveva detto – mi vedrai pallida così anche a settembre. – 

Lui era rimasto in silenzio, sperando di rivederla ancora, dopo l’estate. Era ormai giugno inoltrato e, soltanto qualche giorno prima, lui aveva prenotato una camera matrimoniale in Maremma, per passarci le vacanze con sua moglie, confidando però di ritrovare ancora lei al ritorno. Lei di cui non osava pronunciare il nome nemmeno nella sua testa, per mantenerla in un piano d’irrealtà, in cui qualunque cosa accada, non è mai accaduto. 

Si era fatto scivolare la fede nella tasca del pantalone e avevano continuato a chiacchierare, stuzzicarsi, simulare un approccio e subito tirarsi indietro. Era un gioco, innocente e perverso; solo un gioco, senza conseguenze. Quando erano usciti dal ristorante, lui le aveva cinto la vita con un braccio e lei non si era ritratta. Anzi, si era accostata, di modo che i loro fianchi aderissero; lui aveva stretto un po’ più forte, volendole lasciare un’impronta di calore che oltrepassasse la stoffa leggera del vestito per arrivare dritta a bruciarle l’epidermide. Avevano passeggiato, all’apparenza senza meta, diretti a casa di lei. Sotto il portone, lui aveva staccato la mano sinistra dal fianco per mostrargliela: – Guarda, stasera ho tolto la fede. –

Lei aveva serrato la mascella. – Faresti bene a rimettertela. – 

– Perché? – 

Non lo guardava, fissava la serratura dell’ingresso. 

– Voglio andare a dormire – e non aveva aggiunto altro.

Non si erano più visti, pur continuandosi a sentire. Lui aveva accettato una trasferta via l’altra; passava la settimana nella sede distaccata della società in cui lavorava e, al venerdì, si premuniva di prendere l’ultimo treno disponibile, a scanso di tentazioni. Lei di tanto in tanto gli scriveva, ad accertarsi che fosse lontano, e non a portata di ripensamenti. Fino a quando, anziché inviargli un messaggio, l’aveva chiamato. 

– Sei lì? – 

La memoria è fatta di omissioni, è un’operazione di montaggio di eventi che, da precisi e circostanziati che sono, diventano fumosi, dai contorni slabbrati: tollerabili. Lei aveva nominato la città in cui lui soggiornava dal lunedì al venerdì, ma quale differenza potrebbe fare ora? Che sia Genova, Ancona o Lamezia, cambia qualcosa? Un ricordo senza un luogo diventa inattendibile, ed è questo che conta: guardarsi indietro e mettere in dubbio che la telefonata, e ciò che ne era conseguito, fossero mai avvenuti. 

– Fino a venerdì. – 

– Allora potrei arrivare un giorno prima, magari riusciamo a vederci. Verrò con gli amici per il weekend, ma penso… –

– …parto venerdì, corretto. – 

– E giovedì? – 

Giovedì lui era uscito prima dal lavoro, per passare da casa a darsi una rinfrescata.  

Ed eccolo lì, a rigirarsi la fede attorno al dito, indeciso se sfilarsela o meno. 

Alla fine se la tiene, anche se gli pesa mentre le va incontro. Lei indossa un abito verde Tiffany che le arriva, impalpabile, fino ai piedi. Lui non direbbe mai “verde Tiffany” se non fosse lei a specificarglielo. Seduti uno di fronte all’altra sotto il pergolato di un ristorante, mentre lui le versa il vino, lei gli fa: – Te la sei tenuta, stavolta… – e da lì, come se questo la rassicurasse, diventa più ciarliera e civettuola, dissipando l’imbarazzo iniziale. Riesce perfino a chiedergli: – Come sono andate le vacanze? – 

Lui ci pensa un po’, prima di rispondere. Erano state due settimane di lunghi silenzi, interrotti da qualche scoppio d’insofferenza che, come temporale estivo, passava furioso ma durava poco. La moglie preferiva le nuotate mattutine, lui le passeggiate pomeridiane. Si incrociavano quasi sorpresi di trovarsi nello stesso posto, e cercavano di rimediare muovendosi in direzioni opposte. 

– Siamo stati bene – dice, infine. 

– Meglio così – risponde lei, anche se le labbra le si increspano. 

Il vino è da sempre un ottimo alibi e loro escono dal ristorante con la lingua viola. 

Lei barcolla visibilmente. – Sono stanca… – dice, aggrappandosi al suo braccio – ma il mio albergo è troppo lontano da qui. Posso restare da te? – 

Lui balbetta qualcosa che suona come un sì. Si sforza di non affrettare il passo e di cancellare la domanda che non lascia spazio a nessun altro pensiero: che rumore fa il vestito di lei, cadendo? Immagina lo scorrere della cerniera (sulla schiena o sul fianco?) e la stoffa che scivola giù e le si raccoglie ai piedi. Le spalle scoperte lasciano supporre che non indossi alcun reggiseno, ma le mutande? 

Com’è lei, nuda?

Arrivati al bilocale dove lui sta durante la settimana, lei rimane ritta al centro del soggiorno, con le braccia lungo i fianchi. Lui la attira a sé. La supera di una spanna, così lei, per guardarlo negli occhi, tiene la testa un po’ all’indietro. Entrambi sospirano, prima di baciarsi. Lui lascia correre le mani sulla schiena di lei, poi risale dal ventre ai seni, fino a prenderle il viso. In quel momento lei si irrigidisce: – No. – 

– Cosa? – 

– No – ripete, facendo un passo indietro. – Voglio dormire. – Scuote la testa, e intanto cantilena: – Sono ubriaca, sono distrutta, ho sonno… non voglio. – 

Lui non insiste. – Ok… io posso dormire sul divano. – 

– Non vuoi dormire con me? – 

Non riesce a capire. – Certo che vorrei dormire con te, ma… – 

– Dammi solo un pigiama, per favore. – 

Si spostano in camera e, mentre lui cerca di calmarsi con la testa infilata tra le ante dell’armadio, sente lei dire: – Prendo questa, va bene? – 

Si volta e la trova con la maglietta di Star Wars che lui usa per dormire e che tiene appallottolata tra i cuscini, già infilata sopra il vestito. 

– Hai anche un pezzo sotto, per caso? – 

Lui pesca da un cassetto dei pantaloncini neri, uguali a quelli scalciati quella mattina e ancora nascosti tra le lenzuola. Quando glieli passa, lei dice: – Sì, ma non mi guardare – ed è costretto a darle le spalle, fino a quando lei lo richiama: – Ok, puoi girarti. – 

Il vestito è ai suoi piedi come aveva immaginato. Almeno quello. 

Lei si mette a letto e, da lì, chiede: – E tu, non ti metti il pigiama? – Sembra aver riacquistato un po’ di malizia; forse è il suo modo di smorzare le aspettative, o di tagliare i preliminari, o di rendere il tradimento soltanto uno scherzo tra amici. – Vado a cambiarmi di là. – le dice. 

– Che signorino pudico! – ribatte lei. 

È notte insonne e orrifica, quanto meno per lui. 

Gli basterebbe allungare una mano per ritrovare il corpo di una donna che porta addosso il suo odore senza che se li siano scambiati; una donna che prende senza dare e che, quando le dita di lui provano a raggiungerla muovendosi piano sul lenzuolo bianco, sbuffa dandogli la schiena. Soltanto quando si rassegna la sente rigirarsi e farsi più vicina, senza neppure sfiorarlo. 

Al mattino si rifugia sotto la doccia, a far scorrere acqua e frustrazione; con gli occhi chiusi, lascia che la mano, la sinistra, gli dia un sollievo a lungo trattenuto. Quando riemerge, lei è davanti alla porta del bagno, già nel suo vestito Tiffany, con una mano tra le cosce. 

– Posso? – dice senza aspettare risposta – me la sto facendo sotto. – 

Dopo, prima di salutarsi, si fermano in un bar a fare colazione. Seduta a un tavolino del dehors, lei sembra il fotogramma di un film: fuma, vestita da soirée, col trucco sfatto della sera prima, tra impiegati frettolosi e operai che non mancano di lanciarle un’occhiata. Quando lui la raggiunge con i cappuccini e le brioches, lei ne addenta una: – Ho una fame! – dice. E poi, puntandogli contro un moncherino di pasta sfoglia, aggiunge: – Dì un po’, ti sarai mica fatto una sega in doccia, stamattina? – 

Mentire è la base: dei tradimenti, delle illusioni e delle disillusioni, del quieto vivere e delle doppie vite. E lui le mente questa mattina così come, nei mesi successivi, imparerà a fare con maggiore disinvoltura, tanto a lei tanto alla moglie. Perché sì, ciò che la notte scorsa non è successo non tarderà ad accadere e la relazione parallela, soltanto agli albori oggi, nascerà, crescerà e prolifererà nei prossimi mesi. Lui e lei cercheranno sempre più occasioni per sentirsi, vedersi, prendersi, perdersi, inspirare l’uno l’odore dell’altra, portarselo addosso come un trofeo o un memento, languire tra un incontro e l’altro, escoriarsi la pelle di baci. 

Amarsi, infine? 

Forse, senza dirselo. 

Desiderarsi, allora. 

Fino a quando la moglie, nella cucina di una casa col mutuo cointestato, in quella promessa di vita insieme che lui non sa più se riuscirà a mantenere, gli chiederà: – Hai un’altra? – 

E lui mentirà, ancora una volta, ma la bugia comincerà a pesargli e a prendersi tutto, a imbrattare le pareti della casa in cui abita con l’una e inquinare gli spazi che dedica all’altra. E, infine, si approprierà anche del riflesso nello specchio, un viso che non sarà più suo, che diventerà una maschera intercambiabile, da giustapporre a una faccia che, a guardarla, lui non riconoscerà. 

Allora dirà basta. 

Basta con le menzogne, basta coi sotterfugi, basta con una versione di sé che non gli piace. Come fare? Basta mantenere l’impegno preso davanti a un sindaco, quattro anni prima; basta pensarsi un uomo giusto, e muoversi in quella direzione. 

Basta dire basta. 

Finirà così, questa storia che è un intermezzo. 

Finirà come uno schizzo di sperma sparato a salve sul vetro di una doccia. Senza conseguenze. 

Simonetta Gallucci

Simonetta Gallucci (1984), pugliese trapiantata a Milano, sognatrice indefessa, lavora su Excel ma ambisce a usare soltanto Word. Ha imparato a scrivere a quattro anni e da allora non ha più smesso. Collezionista di corsi di scrittura; l’ultimo frequentato è il percorso annuale Belleville. Ha collaborato in qualità di redattrice con Recencinema e Whipart. Suoi racconti sono apparsi sulle riviste CrunchEd, Grande Kalma, Nazione Indiana, Nido di gazza, Pastrengo, Smezziamo e Snaporaz.

Instagram: @madamelentilles


Una risposta

  1. Avatar claudio
    claudio

    le piccole parole crescono.

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